Forlì: Quel talento che non sai di avere

La sfida educativa


L’Associazione aiuto allo studio e la Cooperativa “Paolo Babini” in collaborazione con il Centro Culturale “La Bottega dell’Orefice”, l’Associazione “La Cometa” e le Scuole “La Nave” hanno proposto l’incontro dal titolo “Quel talento che non sai di avere”, una sfida educativa ai tempi della prestazione.

Sono intervenuti

Michele Zambelli, skipper
Daniele Nembrini, founder Fondazione Ikaros Bergamo
Nicola Crispino, artigiano e artista del legno

Cronaca dell’incontro
Ogni persona ha dei talenti. Scoprirli e metterli a frutto è il compito della vita per la propria realizzazione e per il bene dell’intera comunità umana. Aiutare i giovani in questo compito è la responsabilità degli educatori. Ma la scuola, e tante volte anche gli stessi genitori, privilegiano schemi già fatti e li vorremmo tutti medici, avvocati, ingegneri, commercialisti, informatici….e chi non rientra nello schema è considerato (e finisce per considerarsi) un fallito. Così, però, la società si impoverisce, mentre c’è una grande ricchezza da scoprire. Occorre, per questo, re-imparare a guardare se stessi e gli altri con aperta curiosità, sapendo di trovarci al cospetto di una misteriosa profondità; solo così la vita può diventare una affascinante traversata in mare aperto. I tre relatori dell’incontro “Quel talento che non sai di avere” –Michele Zambelli (Skipper), Daniele Nembrini (fondatore Ikaros) e Nicola Crispino (falegname e artista del legno)- ci hanno introdotto in questo percorso raccontando le loro esperienze.
Michele Zambelli racconta di quando a 15 anni, trasferitosi in città da una località dell’Appennino, comincia a fare esperienza dello spleen baudelariano e trova conforto negli autori maledetti. Questo spleen, che si manifestava in un forte disagio a livello scolastico (tanto che ha cambiato scuola tre volte, finendo a frequentare un serale mentre di giorno faceva il muratore) faceva meno male in mezzo alla natura, prima in mezzo ai campi e poi, soprattutto, in mare. A 19 anni sale su una barca che va dalla Francia al Brasile. Al ritorno gli “brillano gli occhi”. Vuole andare fino in fondo e vedere cosa si prova in mezzo all’oceano da soli. Nel frattempo continua il lavoro come muratore e un collega lo provoca facendogli notare un articolo sul giornale che parla di un velista e gli dice: “Lui sì che è bravo, mica tu”. Michele risponde che è solo una questione di soldi ma capisce che cercava già, alla sua età, una giustificazione per un eventuale fallimento, perché non si ero messo in gioco. Partecipa a una importante regata transoceanica in solitaria, la MiniTransat, con una barca scassata messa a nuovo da lui, con un lavoro massacrante, per l’occasione. Lavora per riparare la barca con dei ragazzi ex tossicodipendenti e nasce una amicizia tale per cui capisce che tutti quei ragazzi sarebbero “saliti” sulla barca con lui: non sarebbe quindi stata, in fondo, una regata in solitaria! La prima volta che esce con la barca si rompe l’albero, anche questa sarebbe stata la scusa per mollare ma non demorde. Parte e arriva ai Caraibi. Cerca i finanziamenti per ripartire con una barca competitiva e trova uno sponsor e così alla MiniTransat arriva sesto e secondo di tappa. Una parola detta da un collega muratore è stata all’origine di tutto perché Michele non ha fatto cadere quella provocazione a andare fino in fondo al suo desiderio. Fino al punto di desiderare di realizzare una scuola per insegnare ad altri ragazzi a rimettere in sesto le barche in disuso e vivere la medesima passione per il mare, da lui definito “un grande maestro”.
Daniele Nembrini si aggancia dicendo che la fondazione Ikaros è frutto della stessa mossa raccontata da Michele. Scopri di avere un mal di vivere, una domanda sulla vita e una impossibilità a soddisfarla. Da ragazzo non ce l’aveva con la scuola ma gli insegnanti non guardavano questa domanda.
Scrive da giovane una poesia che si intitola “Realtà”: ti svegli la mattina presto o tardi ma non fa differenza e lei è lì che ti aspetta, ti alzi la sfuggi e lei è lì che ti aspetta, la sfuggi e ti manca.
E’ considerato un ragazzo difficile, disadattato, si tengono riunioni su come gestire questo ragazzino mentre tutto il suo io era preso da questa mancanza di qualcosa che c’è. La mancanza non è una cosa da sistemare dice Daniele e chiede al pubblico: chi non desidera vivere con una apertura come quella di Michele? E’ proprio questo il talento, il primo talento che Dio dà e che tutti abbiamo. Il problema è che gli adulti hanno come rallentato rispetto a questo desiderio e quindi vorrebbero “sistemare” anche quello dei figli. Dopo 4 bocciature va a lavorare in fabbrica. La svolta, come sempre, avviene nell’incontro con un ingegnere che lo prende sul serio. Si diploma e inizia a fare l’impiegato, poi inizia la Fondazione (centri di formazione professionale, scuole e istituti di formazione superiore post-diploma) che oggi conta 300 dipendenti e che lo porta a imbattersi in tante storie come quella di Sara, una mamma, che chiede auto per il figlio che secondo lei deve fare due anni in fondazione perché non è pronto, non è preparato. Le dice: il tuo problema è che tu lo guardi solo per quelle cose che mancano e pensi che se andasse in fondazione risolverebbe il problema…ma lui non è tuo! Oppure
Luca che ha aperto un ristorante. Prima tutti sempre in negazione nei suoi confronti: “non vai bene, non vai bene!” Si trova a gestire un bar a 16 anni e adesso ha 25 dipendenti e in quel lavoro lì si realizza tutto lui, la sua persona.
Daniele dice che storie come la sua o quella di Michele possono essere accompagnate. A loro “è andata bene” ma non è così per tutti, per questo c’è bisogno di essere accompagnati. Questo fa oggi la fondazione con 4000 ragazzi che vengono presi sul serio sulla loro domanda. Che non ci sia un solo ragazzo che non si senta preso sul serio in questa domanda, questo ha chiesto Daniele ai responsabili della fondazione.

Nicola Crispino infine parte da ciò che accomuna secondo lui i tre relatori: il fatto che non dicono di no ad un desiderio. Nicola è un artigiano, un lavoro semplice, con un materiale semplice come il legno (colpisce l’amore alla realtà che esprime dicendo “un pezzo di legno è già bello di suo”). Non ho cambiato tante scuole come i due “colleghi” seduti al tavolo, semplicemente non c’è andato. Ha Incontrato anche lui un uomo che era libero, non era un personaggio eclatante, non arrivava “primo” ma si divertiva a mettere le mani in un pezzo di legno, si divertiva a fare diventare bella la materia da brutta che era. Comincia a prendere dei ragazzi a bottega (Perché? Perche mi aiutano, è la risposta!). Le scuole che li mandano si stupiscono che ragazzi difficili continuano ad andare, si aspetterebbero l’abbandono, ma i giovani, che non barano, sono leali con l’esperienza che fanno in bottega.
Da questo desiderio di esprimere se stesso con il legno (“non so fare altro” dice) è nata da “grande” anche l’esperienza artistica che l’ha portato ad avere una mostra personale come evento collaterale della mostra su Piero Della Francesca in corso a Forlì.

Domanda finale: tutti e tre, accomunati da un iniziale fallimento scolastico eppure da un grande desiderio di “fare scuola”; allora cosa c’entra l’educazione con questa ferita che si sperimenta?
Risponde Nembrini: gustando quella domanda tu la riconosci negli altri, senti una sintonia con quello che incontri, anche solo per una frazione di secondo e capisci che il grande lavoro della vita è tenerla aperta, e per questo occorre essere aiutati.
(Enrico Locatelli, Forlì)



Data

Venerdì 13 Maggio 2016 ore 20:45

Luogo

Campus Universitario Aula 6 Teacher Hub, viale Corridoni 20, Forlì