Udine: Fermarono i cieli
Un gruppo di artisti guidati da Ambrogio Sparagna e Peppe Servillo, ci coinvolgerà nei canti del presepe napoletano di sant’Alfonso Maria de Liguori, accompagnati da organetto, zampogna gigante, ciaramella, ghironda, violino a tromba, tofa. Per molti (certamente per me e per quelli della mia generazione) sono fra i canti più cari della tradizione di Natale, i canti dell’infanzia, cantati davanti al presepe, ascoltati durante la Messa di Natale: “Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo, e vieni in una grotta, al freddo e al gelo. O bambino mio divino, io ti vedo qui a tremar, o Dio beato, ahi, quanto ti costò l’avermi amato!” “Fermarono i cieli la loro armonia, cantando Maria la nanna a Gesù…. Dormi dormi, fa la ninna nanna Gesù”. Canti che addolciscono il cuore, che ci fanno fermare un attimo e accorgerci che esistiamo, che il nostro freddo, la nostra fatica, la nostra paura, il nostro dolore, non sono solo nostri: c’è qualcuno, forse Qualcuno, che li vive con noi, che ci si fa compagno.
Questi canti, con la loro tipica sonorità, così come il presepe pieno di personaggi di ogni tipo che partecipano all’imprevedibile avvenimento che è il Natale di Gesù, hanno un punto sorgivo importante nella Napoli dell’inizio del ‘700, e hanno attraversato poi ogni distanza divenendo tradizione anche nostra. Alla loro origine c’è un santo, proclamato patrono dei moralisti: sant’Alfonso Maria de Liguori. Pochi lo conoscono davvero: nobile, colto, avvocato di grido, studioso, si fa prete e va fra i “lazzaroni” dei paesi e dei quartieri più abbandonati del Regno di Napoli; è
studioso di diritto e di morale nella Napoli di Giambattista Vico e dell’illuminismo,
rimettendo al centro la persona, la libertà, la coscienza, il giudizio che tien conto del cuore delle persone e delle circostanze del loro vivere. Oltre che pensatore e studioso era anche artista e musicista colto. Ha creato queste “canzoncine” per i “lazzaroni”, perché potessero, partecipando anche con la mente e il cuore al presepe, capire che Dio venuto nella carne non è un sogno ma una presenza reale, che ha freddo, fame, bisogno di affetto come ciascuno di noi, e si propone
come possibile compagnia di ogni istante, una compagnia piena di promessa. È la promessa che anche la paglia della mangiatoia in cui dormo possa fiorire (come in “Quanno nascette ninno”), che nella solitudine che sento nel cuore, in mezzo alla gente e alla confusione, c’è qualcuno che abbraccia la mia povertà e mi salva.
Il Natale che sant’Alfonso ci fa vivere con le sue “canzoncine” è il Natale di cui il nostro cuore, la nostra vita di adesso, ha sete; ma non è un qualsiasi Natale, è il Natale: in quel bambino che viene, nel freddo, che abbracciamo per farlo dormire, facciamo noi esperienza di essere abbracciati: è l’inizio della Misericordia di cui Papa Francesco ci fa celebrare l’Anno Santo, permettendo anche a noi, magari
timidamente, di tentare di abbracciare chi arriva pieno di bisogno.
Quel fermarsi commossi “cantando la ninna nanna a Gesù” può farci intravvedere un sentiero di bene possibile, di compagnia, di significato in cui tutto, anche la nostra aridità, può fiorire.
Nelle Tende AVSI, quest’anno in favore di profughi in Iraq, Siria, Libano, qui da noi, possiamo lasciarci aiutare a compiere qualche piccolo passo al di là del timore e dalla reazione per incontrare e abbracciare chi è nel bisogno, come noi siamo abbracciati nella nostra solitudine e nel nostro bisogno.
(Centro Culturale Il Villaggio)