Riproponiamo gli spunti di una conversazione di Giovanni Testori con il Centro Culturale Don Ettore Passamonti di Biassono nel 1980. Ci colpisce il suo percorso che va dalla cultura vissuta settorialmente , per specialisti che non fa trovare “ne’ felicita, ne’ piena espressività” all’ arrivo ad una cultura che sorge dalla scoperta del bisogno elementare di ogni io! La stessa conclusione che ci ha comunicato Don Giussani che per parlare di cultura ci mimava il gesto della contadina che tirava fuori dal terreno la carota esclamando “quanto e’ grande Dio!” Buona lettura
Che cos’è la cultura? E’ una parola che si è usata, si usa e della quale si abusa spesso, senza che nessuno abbia più il coraggio di misurare che cosa significhi e che cosa sia oggi fare cultura.
Normalmente si crede che cultura sia, settorialmente, fare scienza, arte, medicina, cinema, filosofia, queste secondo le definizioni assolutamente parziali della cultura in cui viviamo, per cui ci sarebbero alcuni privilegiati addetti a proporre agli altri questa loro conoscenza, lo sviluppo di questa conoscenza nei vari settori. Il resto dell’umanità, quello che lavora, studia va in fabbrica, la donna che sta a casa, la madre , il padre, il prete, il maestro, non farebbe cultura. Se cultura fosse ciò, si assisterebbe ad una separazione che è contro il principio stesso di cui di è parlato all’inizio, che vivo, proprio per sua natura, proprio perchè Dio vi ha messo il suo sigillo, in ogni uomo.
Cultura è la forma, non in senso estetico ma intesa proprio nel significato biblico, cioè la forma creata, che assume in un determinato momento della storia la conoscenza e la coscienza religiosa, perchè non può essere altrimenti che religiosa, dell’uomo
In questa definizione, una madre, un padre che realizzano la propria famiglia, un operaio che lavora, se viene data loro la coscienza o la conoscenza dell’essere madre, padre, operaio, se non si compie su di loro l’azione terroristica di considerarli in uno stato subalterno, creano veramente la forma di vita, fanno cultura, esattamente come un letterato, un giornalista, con la stessa dignità. Non esiste la possibilità di separare, nel peso, nel valore, nella grandezza, la forma che un operaio dà della propria coscienza d’essere operaio e di come svolge questo suo atto di cultura, dalla coscienza che un romanziere ha dello scrivere un romanzo. Nel momento in cui uno dei due si crede determinato in questa forma totale che è la cultura …dalla coscienza che un romanziere ha dello scrivere un romanzo. Nel momento in cui uno dei due si crede determinato in questa forma totale che è la cultura, si opera una prima lacerazione, un primo atto di terrorismo. Le differenze sono le voci diverse di un unico coro. La definizione di cultura che ho dato può sembrare nuova, inedita credo che sia rivoluzionaria nel senso della speranza. Lo dico non per accontentare tutti, ma perchè credo che cultura sia scrivere un libro come crescere i figli, come si va in chiesa o come non si va, come ci si mette davanti alla televisione o come si legge un giornale. Cultura è la forma di tutte le ore, di tutti i giorni, i mesi, gli anni della nostra esistenza, sentita come rapporto di comunione, come rapporto totale di uomini che sono chiamati a costruire la loro storia, il tessuto di speranza e non il non senso di lacerazione e di una disperazione. Ciò che stiamo facendo stasera e la proposta che vi è stata fatta è proprio un atto di cultura in questa direzione, tanto è vero che non si privilegia nessuno. Questo riconsiderare la possibilità di una vita diversa, nuova, pienamente umana di un paese, al di fuori dei modelli imposti dall’altra cultura, è proprio nel senso che ho cercato di dire..Questa proposta è un atto di cultura di una comunità che si ritrova per dare una forma alla vita del paese, un cui tutte le possibilità di ognuno concorrano dialetticamente, non nella dialettica della materia, ma della totalità del mondo, non in quella del consumo, ma in quella dell’amore, della giustizia, della speranza che sono in ognuno di noi e nella nostra comunità…Io non ho fatto altro che rendere esplicita l’immagine di cultura che già nella vostra proposta è contenuta e che ora comincia a nascere, a balbettare, a muoversi in questa direzione nuova, veramente umana, nel riconoscersi fratelli, dentro il disegno che siamo chiamati ad incarnare, secondo il volere del Padre
Giovanni Testori, Biassono 20 marzo 1980