La questione

Etty Hillesum a Cinisello

26 Febbraio 2020
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“Più che una mostra, questa mattina ho vissuto un’esperienza di vita. Ascoltare le parole di Etty, percorrere il suo diario attraverso il contributo video, mi ha toccato profondamente. Vivere intensamente significa anche questo: partecipare al dolore degli altri e, attraverso di esso, poter capire il senso della vita, l’amore per gli altri, la passione per il creato ed essere consapevoli che la vita è un dono, sempre e comunque”.
E’ solo uno dei numerosi commenti scritti dalle persone – circa 800 – che hanno visitato la mostra “Etty Hillesum. Il cielo vive dentro di me”, allestita all’inizio di febbraio presso Villa Ghirlanda Silva, a Cinisello Balsamo, dal centro culturale “Cara beltà” in collaborazione con l’Amministrazione comunale. L’autore del commento è un educatore che ha accompagnato un gruppo di ragazzi con disabilità a visitare la mostra: Etty parla davvero a tutti. “Dio mio, ti ringrazio perché mi hai creata così come sono”: è una delle frasi che più hanno colpito quei ragazzi, suscitando in alcuni profonda commozione, ma che indica un atteggiamento che anche molti altri hanno riconosciuto necessario per sé e per tutti, non appena ci si accorga della fragilità che accompagna ognuno di noi.

Il tema della gratitudine – della “riconoscenza”, come più spesso la chiama Etty – attraversa i due anni di vita (1941-1943) che sono narrati nel suo diario. Di che cosa è grata Etty? Semplicemente, di tutto: “Sono così felice e riconoscente e trovo la vita così bella e ricca di significato. Proprio così, e lo dico mentre sto accanto al letto del mio amico morto prematuramente, e mentre io stessa posso essere deportata a ogni momento in una terra sconosciuta. Mio Dio, ti sono così riconoscente per tutto quanto”. Non si tratta di una passeggera emozione, ma di una certezza anche dentro le più dure circostanze che nel marzo del 1942 – quando già erano iniziate le pesanti restrizioni per gli ebrei olandesi – le fa scrivere: “E alla fine della giornata sento il bisogno di dire: la vita è davvero bella”. Una certezza da cui nasce per lei il compito “della mia doverosa testimonianza: cioè che vivere nel tuo mondo è una cosa bella e buona, malgrado tutto quel che ci facciamo reciprocamente noi uomini”.

Questa sua esperienza della vita e percezione della positività della realtà generano in lei un’apertura e una capacità di abbraccio verso l’umano presente in ogni persona, anche verso i nemici, anche verso quel giovane ufficiale nazista che la maltratta ingiustamente durante un interrogatorio e per il quale non prova sdegno, ma “pena, tanto che avrei voluto chiedergli: hai avuto una giovinezza così triste, o sei stato tradito dalla tua ragazza?” Una capacità di immedesimazione con l’altro dovuta non ad un particolare carattere, ma a un cambiamento nella coscienza di sé, come ci ha ricordato qualche anno fa l’analoga esperienza di un carcerato di Padova – convertitosi per la compagnia vissuta con alcuni volontari incontrati in carcere – che sottoposto ad una ingiusta e umiliante perquisizione, al rientro da un permesso, prova compassione verso i suoi aguzzini, pensando che essi non avevano avuto la fortuna, capitata a lui, di incontrare un’umanità vera. Come è vero che “non sono i fatti a contare nella vita, ma ciò che grazie ai fatti si diventa”!

Questa apertura radicale all’altro – sorretta dalla “mia consapevolezza di non essere capace di odiare gli uomini” e dalla “coscienza che tutti questi orrori …non sono al di fuori di noi, ma che si trovano vicinissimi e nascono dentro di noi” – diviene in Etty volontà di condivisione del dolore universale. Di notte, nella baracca del campo di concentramento, mentre sente il sonno profondo, i movimenti o i silenziosi pianti di quelle donne che di giorno dicevano di non voler sentire e pensare per non impazzire, lei pensa: “Su, lasciatemi essere il cuore pensante di questa baracca. Vorrei essere il cuore pensante di un intero campo di concentramento”. E nell’ultima pagina del suo diario pervenutaci scrive: “Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite”.

Da dove nasce questa stoffa umana che colpisce chi incontra Etty Hillesum e che, in fondo, ciascuno vorrebbe per sé? Da un incontro decisivo – per lei quello con il dottor Julius Spier – che la aiuta in un percorso di presa di coscienza di se stessa, che la porterà a ritrovare nella propria interiorità quel Dio che aveva smarrito negli anni dell’università: “Un pozzo molto profondo è dentro di me . E Dio c’è in quel pozzo. Talvolta mi riesce di raggiungerlo, più spesso pietra e sabbia lo coprono: allora Dio è sepolto. Bisogna di nuovo che lo dissotterri”. E’ una ricerca via via più intensa, che diventerà un quotidiano rapporto: “La mia vita è diventata un colloquio ininterrotto con te, mio Dio, un unico grande colloquio”, scrive nell’ultima lettera (18 agosto 1943).
Questa profonda unità tra sé e Dio, che Etty sperimenta, è anche la ragione ultima del suo legame con gli altri e del compito verso di loro: “Amo così tanto gli altri perché amo in ognuno un pezzetto di te, mio Dio. Ti cerco in tutti gli uomini e spesso trovo in loro qualcosa di te. E cerco di disseppellirti dal loro cuore, mio Dio”.

In questo suo percorso – che ce la rivela umana come ciascuno di noi e perciò non esente da contraddizioni (disordini affettivi, persino un aborto) – Etty riscopre anche la preghiera: “Credo di poter sopportare e accettare ogni cosa di questa vita e di questo tempo. E quando la burrasca sarà troppo forte e non saprò più come uscirne, mi rimarranno sempre due mani giunte e un ginocchio piegato”. E ancora, verso la fine del diario: “Si dovrebbe pregare giorno e notte per quelle migliaia. Non si dovrebbe stare neanche un minuto senza preghiera”.

Tanti altri ancora sono i motivi per cui siamo grati di aver incontrato l’esperienza di Etty. Nella sua profonda religiosità, Etty non è diventata cristiana, ma più volte cita Matteo, 6,34, commentandolo così: “A ciascun giorno basta la sua pena. Si devono fare le cose che vanno fatte e per il resto non ci si deve lasciare contagiare dalle innumerevoli paure e preoccupazioni meschine , che sono altrettante mozioni di sfiducia nei confronti di Dio”. Anche di fronte a più serie questioni, come ora in tempi di Corona Virus, può forse incoraggiarci il suo atteggiamento: “Dicono: ‘Non prenderanno me’. Dimenticano che non si è nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia”.
Piero Manzoni


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