La pandemia e il torpore a cui reagire
Un articolo di Pierluigi Banna, pubblicato su Avvenire martedì 29 dicembre 2020
In tutti gli italiani, più giovani e più vissuti, c’è in qualche modo la consapevolezza che il cristianesimo ha ritmato l’alternarsi delle stagioni: la primavera porta alla Pasqua, l’inverno al Natale. Nell’ultimo anno la preparazione di questi stessi eventi è stata segnata, persino sfigurata, dal divampare della pandemia. I due picchi sono stati raggiunti, il primo, nel tempo della Quaresima e il secondo proprio adesso nel tempo dell’Avvento. Eppure, deludendo fideismi, superstizioni, scaramanzie, ma anche umane speranze – ognuno metta la propria posizione – né la Pasqua, né a quanto pare il Natale, paiono riuscire a porre fine all’epidemia. Sono piuttosto questi eventi, non solo a livello religioso, ma anche a livello civile e domestico, ad apparire trasfigurati dall’incedere inesorabile dell’emergenza sanitaria. La percezione è generale al punto che non solo il Papa e i vescovi, ma anche gli intellettuali e i politici offrono suggerimenti su come vivere in modo diverso queste festività.
Di consigli ne abbiamo ricevuti, tanti e da più parti. E siamo sicuri che chi li dà non è mosso da cattive intenzioni. Eppure, soprattutto in questa seconda ondata, sembrano non riuscire a scalfire quel senso di impotenza che si sta oscuramente addensando al fondo del cuore. Il “tutto andrà bene” non campeggia più sui balconi e sulle saracinesche chiuse, alcuni ragazzi sprofondano nelle loro stanze, impauriti da quel mondo di fuori che un domani sarà loro compito ricostruire. E il tempo di Natale, che stiamo vivendo addomesticato dalle norme sanitarie, risulterà capace di accendere quella miccia di positività che ogni anno riporta nelle nostre vite?
Come ha intuito Mario Delpini, arcivescovo di Milano, l’emergenza sanitaria sta rivelando «un’emergenza spirituale», mentre Marta Cartabia, presidente emerita della Corte Costituzionale, ha sottolineato proprio su queste pagine l’«emergenza esistenziale». Emergenze gravi e trasversali a generazioni, culture e religioni, ma di fronte alla quale ci si trova di primo acchito indifferenti e, a dire il vero, del tutto impreparati. Infatti, a questo tipo di emergenze non si può rispondere con slogan, interventi, misure e norme, ma solo nella disponibilità e nell’invito, a livello personale e comunitario, a riconfigurare niente di meno che la concezione della propria vita.
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