La questione

La Macerata – Loreto e il vero motore del cambiamento

10 Giugno 2019
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Il fiume umano che si riversa a Loreto, che all’alba si incastra tra i palazzi appena svegli, è certamente l’immagine più suggestiva del pellegrinaggio. Quella che rimane più impressa, che fa il giro dei social e dei giornali insieme alla fiera dei numeri, delle presenze, eccetera. Ma il fatto più imponente risiede in ciò che non riempie immediatamente gli occhi (e i titoli dei giornali). Risiede in ciò che non si vede se non acuendo lo sguardo, facendo uno sforzo di attenzione. Il fatto più sconvolgente e rivoluzionario e che scardina ogni recinto fissato dalla ragione sono le facce, le singole facce che compongono questa marea umana. Quelle facce difficilmente distinguibili nelle suggestive foto panoramiche. Quegli occhi, quelle smorfie, quelle bocche che diventano indistinte macchie di colore nelle immagini di copertina. E invece basta avere la fortuna di trovarsi sul sagrato della basilica di Loreto quando la folla compatta della discesa di Montereale si dilata e come un liquido si riversa nella piazza assumendone la forma. E’ in questo lento e costante diradarsi della folla che si possono osservare gli uomini, le donne, i ragazzi, i bambini, gli anziani. Ed è qui che si vede ciò che io, in trentaquattro anni di vita non ho mai visto altrove. Un ripetersi di occhi invasi dalla gioia. Una gioia piena, straripante, dentro facce tese e stravolte dalla fatica di una notte insonne. Una letizia impossibile sopra gambe e piedi distrutti dalla strada. Una gioia che ti fa chiedere cosa diavolo si stia festeggiando; nessuna impresa sportiva, elettorale, nessun apparente trionfo che giustifichi i canti e i sorrisi tirati dalla fatica. Una gioia che è anche discreta, non chiassosa nel canto, che non ha nulla da rivendicare, senza alcun nemico, e che nell’abbraccio ai compagni di viaggio sembra abbracciare tutto il mondo. Una gioia che è carica di un’impossibile speranza.. Nel guardare questo affresco umano – nella sua irriducibile ed esaltante diversità – che riempie la piazza, mi è tornato in mente un passaggio di una recente intervista di Julian Carròn sull’Osservatore Romano . Il giornalista fa una domanda : “ , . ’ . ̀ “. Risponde Carron: ” ̀ . ̀ , , , “ ”. ̀ . ̀ – – .[…] , . ’ , “ ̀ ̀”.
Mi ha colpito perché per Carron il vero motore del cambiamento non è una struttura, un’ideologia alternativa, una nuova visione del mondo, ma una vita, “uno che è contento”. Uno che è contento non prova rancore e per questo – solo per questo – non reagisce. Perché è troppo poco.
Al pellegrinaggio si può incontrare questo popolo contento. Le facce del pellegrinaggio sono la carne, il sangue e le ossa di questo miracolo. Facce di poveracci, peccatori, di gente affaticata e piena di ferite in cui il rancore è misteriosamente vinto, sconfitto. In cui ogni passo nella notte, nella fatica e nel dolore riafferma che “vale la pena”; che questo mondo, questa realtà piena di contraddizioni sono qualcosa che vale la pena vivere. Una costruttività indefessa, un cammino che può nascere solo da un cuore pieno, che cambia l’uomo e quindi cambia la società, cambia la storia.
Ed è per questo che da quarantuno anni a Loreto non accade nulla di pio o confessionale; ma si riaccende una luce, una rivoluzione che è per tutto il mondo.

Davide Tartaglia


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