Casale Monferrato (Al): Presenza cristiana in Medioriente
Il Centro Culturale Alberto Gai ha organizzato l’incontro dal titolo “Valore e condizione della presenza cristiana in Medioriente” con don Vincent Nagle, missionario della Fraternità San Carlo che ha vissuto parecchi anni in Terra Santa. Personaggio interessante e poliedrico, don Vincent ha origini americane. Nato da madre ebrea e padre irlandese cattolico non praticanti, ha scoperto la fede in Dio e la propria vocazione in età adulta, è entrato in seminario a Roma presso la Fraternità San Carlo ed è stato ordinato sacerdote nel 1992. A partire dal 2006 per alcuni anni ha svolto la propria missione in Terra Santa. Ora, rientrato in Italia, risiede a Milano. Oratore brillante, è un testimone diretto delle dinamiche che condizionano la vita dei cristiani in Medioriente.
Resoconto dell’incontro
Don Vincent Nagle: Solidarietà ai cristiani perseguitati Solidarietà come condivisione reale e non come categoria sociologica: è questo ciò di cui hanno più bisogno i cristiani del Medioriente ed è anche il richiamo con cui don Vincent Nagle apre e chiude l’interessante conferenza, promossa dal Centro Culturale Alberto Gai, che si è svolta martedì 19 maggio a Casale.
Ma per essere solidali con loro, dobbiamo innanzitutto sapere chi sono i cristiani di quelle terre: prende le mosse da qui un excursus storico con cui don Vincent sottolinea innanzitutto che i cristiani mediorientali sono arabi, orgogliosamente arabi, chiarendo che esistono tribù arabe cristiane da molti secoli prima che negli stessi luoghi fossero presenti gli arabi musulmani. E ancora all’epoca delle crociate i cristiani erano una maggioranza in Terra Santa, mentre oggi sono una minoranza in tutto il Medioriente. A Gerusalemme ufficialmente sono il 2% della popolazione, ma di fatto ormai si aggirano intorno all’1%. In Giordania i dati ufficiali parlano dell’8%, ma in realtà ne rimangono circa un 4-5%. In Siria i cristiani si concentrano ad Aleppo, città costantemente bombardata da mesi. In Egitto e in Libano ci sono oggi le comunità più numerose, mentre in Marocco, Algeria e Tunisia non esistono più comunità di cristiani nativi, che se ne sono andati da tempo. Nei secoli ci sono stati certamente momenti di turbolenza, ma normalmente i cristiani arabi si sono sempre percepiti un’etnia unica con i loro vicini musulmani. La convivenza a lungo è stata pacifica.
Perché oggi lo scatenarsi delle persecuzioni? Perché, fallito il tentativo, nel secolo scorso, di creare una nazione araba laica, progetto perseguito anche e soprattutto dai cristiani del Medioriente, sono sorti movimenti musulmani che prospettano come unica soluzione per le nazioni arabe l’islam (che significa “sottomissione”), propagandando l’instaurarsi della legge islamica come l’avvento del paradiso in terra. I cristiani, visti come elemento estraneo e di disturbo al realizzarsi del progetto, sono allora perseguitati. Il progetto di al-Qaeda era la pace attraverso la
sottomissione e oggi è questo il progetto dell’Isis, nata da al-Nusra, la filiale siriana di al-Qaeda. Per realizzare il progetto, occorre eliminare chi non vi collabora: da qui l’intolleranza dell’Isis verso tutte le minoranze che vengono brutalmente massacrate.
In questo scenario i cristiani del Medioriente iniziano a pensare di non avere un futuro nelle loro terre. In Egitto nutrono ancora qualche speranza, in Giordania si sentono protetti dal re, ma in Libano si sentono sempre meno sicuri, in Siria e in Iraq si può ormai parlare di estinzione di un popolo. Il futuro per loro dipende dalla solidarietà. Sono loro stessi a dire: «Abbiamo innanzitutto bisogno di non sentirci soli. I soldi dell’Occidente sono i benvenuti, ma non risolvono il nostro problema. Abbiamo bisogno che veniate a visitarci, a stare con noi». Il primo problema è sentirsi abbandonati, non accompagnati. «Per questo» racconta don Vincent «poche settimane fa visitando una famiglia di Ramallah, quando una delle figlie mi ha chiesto: “Cosa farò quando arriverà l’Isis? Di certo non mi convertirò all’islam” ho risposto: “Allora verrò a morire con te”. La forma compiuta del cristianesimo è il martirio, il dare la vita.
Il monachesimo è nato per questo: è una forma di martirio “vivo”, è l’offerta della propria vita. Gesù poteva guarire tutti ma non l’ha fatto, perché non è venuto a risolvere i problemi, è venuto a dirci “Io sono con te”. Gesù non è la soluzione, è la risposta: “Io sono la vita, la vita eterna che comincia adesso”. E il primo modo di essere solidali con i nostri fratelli del Medioriente è essere cristiani veri qui».
(Centro Culturale Alberto Gai)