Macerata: L’amore ingiusto
Il Centro Culturale “Nuova Cultura” ha organizzato la presentazione dle libro “L’amore ingiusto” di Nicola Campagnoli (Itaca, 2015). Dall’introduzione di Davide Tartaglia: La poesia di Campagnoli è davvero una rarità nel mondo poetico contemporaneo. Nel bel mezzo di un panorama che si divide tra un minimalismo di maniera e uno sperimentalismo estremo, appiattito sul significante e che predilige l’incomprensibilità, “L’amore ingiusto”, opera prima in poesia dello scrittore anconetano, svetta per la sua vocazione prettamente lirica, per la riproposizione autentica di un canto innamorato della realtà e del suo significato, laddove il significato di tutto è un Tu, una presenza buona totalmente implicata con le storture e le contraddizioni della vita.
Il motivo essenziale dell’originalità dell’opera di Campagnoli risiede nel fatto che la poesia sgorga innanzitutto da una presenza, non da una mancanza. Nasce come il tentativo di nominazione di questa presenza smisurata, rivoluzionaria, una presenza al contempo dolorosa e salvifica e che introduce una lettura nuova del mondo e delle circostanze più feriali, finanche una lettura nuova della mancanza e del limite, che, da baratro, diventa nostalgia di quel Tu e dunque segno potentissimo della presenza stessa (…)
La poesia nasce dallo stupore della compromissione del Mistero, del Destino con le vicende dell’autore e dei suoi fratelli uomini, qui e ora. L’incarnazione non è un fatto del passato, ma è qualcosa che accade in questo istante e cambia il corso della quotidianità, cambia lo sguardo su di sé e sulle cose del mondo riempiendole di senso (“Tu avvicinati ancora / e rendimi come un bambino”). In ogni lirica, infatti, è facilmente rintracciabile questo cambio di direzione, l’avvenimento imprevisto attraverso cui il Tu raggiunge l’io dell’autore e stravolge la realtà introducendola al significato totale (…)
Proprio dalla passione per questo punto infuocato della realtà nasce il rifiuto della metrica – che non esiste se non come respiro naturale della voce – e del labor limae come applicazione ideologica, che è prigione della letteratura che imbriglia il cuore, la mente e la lingua. Ma la poesia, per il poeta anconetano, non è il fine, è il mezzo, ed è per questo che deve farsi umile serva di tutto il reale e del suo mistero.
E’ forse proprio questo il regalo più grande di questa prima opera in versi di Campagnoli: la disarmante constatazione che oggi, in un mondo sempre più confuso, fin dalla sua cellula elementare che è l’io, c’è un urgente bisogno di poesia, più che di letteratura. Di una parola come quella di questo libro, che dentro l’esperienza personale, anche quella minima e apparentemente banale, sappia incontrare l’uomo di ogni tempo nel suo bisogno più profondo, quello di un amore strepitoso, talmente sproporzionato da risultarci “ingiusto”.