In una lettera al Corriere della Sera pubblicata il 3 settembre, il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, don Julián Carrón, ricorda l’ex Arcivescovo di Milano, gesuita e grande studioso della Bibbia che per 22 anni è stato guida della Diocesi di Milano.
Caro Direttore,
la morte del cardinale Martini mi consente di riflettere su alcune parole-chiave della sua vita e sul rapporto con don Giussani e col movimento di Comunione e Liberazione. La mia vuole essere una semplice testimonianza.
Ecumenismo. La sua capacità di entrare in rapporto con tutti testimonia la tensione del cardinale a intercettare ogni briciolo di verità che si trova in chiunque incontriamo. Chi ha incontrato Cristo non può non avere questa passione ecumenica. Mi ha colpito come il cardinale rispondeva a chi gli domandava quale considerava il momento culminante della vita di Gesù (il discorso della montagna o l’ultima cena o la preghiera nell’orto degli ulivi): «No. Il momento culminante è la Resurrezione, quando scoperchia il suo sepolcro e appare a Maria e a Maddalena». È la certezza che introduce la resurrezione di Cristo che spalanca lo sguardo del cristiano.
L’antico termine oikumene sottolinea che lo sguardo cristiano vibra di un impeto che lo rende capace di esaltare tutto il bene che c’è in tutto ciò che si incontra, come ricordava don Giussani: «L’ecumenismo non è allora una tolleranza generica, ma è un amore alla verità che è presente, fosse anche per un frammento, in chiunque. Nulla è escluso di questo sguardo positivo. Se c’è un millesimo di verità in una cosa, lo affermo». Solo una tensione così può generare una vera pace fra gli uomini, anche questa una preoccupazione costante del cardinale Martini.
Carità come condivisione dei bisogni. Noi dobbiamo fare tesoro di questo desiderio di intercettare il bisogno degli uomini che l’Arcivescovo incontrava lungo il cammino della vita. La Chiesa non può essere mai indifferente alle domande e ai bisogni degli uomini. Queste domande, che sono le nostre, sono una sfida per noi credenti, perché solo così ci rendiamo conto se abbiamo qualcosa nella nostra esperienza da comunicare a chi ci chiede ragione della nostra speranza. Questo è il vantaggio del tempo presente per noi credenti: non è sufficiente la ripetizione formale delle verità della fede, come ci ricorda continuamente Benedetto XVI. Gli uomini attendono da noi la comunicazione della nostra esperienza, non un discorso astratto, sia pure corretto e pulito. Come ci richiamò Paolo VI: la nostra epoca ha bisogno di testimoni, più che di maestri. Solo il testimone può essere maestro. Sono sicuro che il cardinale Martini, dal Cielo, ci accompagnerà a condividere i bisogni degli uomini e a trovare strade per risponderne che siano all’altezza delle loro domande.
Quanto al rapporto con CL, don Giussani ci parlava sempre della paternità del cardinale Martini, che aveva abbracciato e accettato nella diocesi di Milano una realtà come CL. Nel suo cuore di pastore sempre c’è stato spazio per noi. Ricordo la gratitudine di don Giussani quando l’Arcivescovo gli concesse di aprire una cappella in uno dei locali della sede centrale del movimento a Milano, così da avere il Signore presente sempre.
E come l’arcivescovo Montini, che inizialmente confessava di non capire il metodo di don Giussani ma ne vedeva i frutti, anche il cardinale Martini ci incoraggiava ad andare avanti. Mi commuovono ancora le parole che rivolse a don Giussani nel 1995, durante un incontro di sacerdoti, quando ringraziò «il Signore che ha dato a monsignor Giussani questo dono di riesprimere continuamente il nucleo del cristianesimo. “Ecco, tu, ogni volta che parli, ritorni sempre a questo nucleo, che è l’Incarnazione, e – con mille modi diversi – lo riproponi”».
Per questo ci rincresce e ci addolora se non abbiamo trovato sempre il modo più adeguato di collaborare alla sua ardua missione e se possiamo aver dato pretesto per interpretazioni equivoche del nostro rapporto con lui, a cominciare da me stesso. Un rapporto che non è mai venuto meno all’obbedienza al Vescovo a qualunque costo, come ci ha sempre testimoniato don Giussani.
Sono sicuro che, insieme a don Giussani, ci accompagnerà dal Cielo a diventare sempre di più quello per cui lo Spirito ha suscitato proprio nella Chiesa ambrosiana un carisma come quello di CL. La morte del cardinale Martini e di don Giussani costituiscono un richiamo per tutti noi che, nella varietà di sensibilità, abbiamo a cuore la Chiesa ambrosiana. Mi auguro che non ci stanchiamo mai di cercare quella collaborazione che è indispensabile – soprattutto oggi – per la missione della Chiesa, così come ne parlava il Cardinale nel 1991: «La “novità” della cosiddetta “nuova evangelizzazione” non va cercata in nuove tecniche di annuncio, ma innanzitutto nel ritrovato entusiasmo di sentirsi credenti e nella fiducia dell’azione dello Spirito Santo», così da «evangelizzare per contagio… da persona a persona».