L’incontro “La Chiesa in uscita secondo don Francesco Ricci” si è svolto presso la camera di commercio di Forlì, non per un devoto ricordo di don Francesco ma per un aiuto a vivere oggi il nostro tempo. L’incontro viene introdotto da un video (https://www.facebook.com/bottegaorefice/videos/613901449431669/) che sulle note di “Lontano” (brano che Claudio Chieffo ha dedicato allo stesso don Francesco) riprende alcune immagini e alcuni brani di don Francesco estratti dal testo appena ripubblicato “L’unità dell’Europa e le sue radici culturali” (http://centriculturali.org/detail.asp?c=1&p=0&id=4183). Il primo intervento è di Riccardo Lanzoni, educatore e scrittore che fu tra i primi forlivesi a coinvolgersi con don Francesco nell’esperienza di Gioventù Studentesca. Lanzoni inizia chiarendo subito che non c’è una chiesa ad intra che poi diventa ad extra, pensando così si perderebbe il significato dell’espressione del papa “Chiesa in uscita” e dell’esperienza di don Francesco. Qual è allora l’origine, il big bang da cui è scaturita questa uscita di don Francesco che poi è un’entrata, un andare sempre più dentro? La chiave è in ciò che è scattato nel momento dell’incontro tra don Francesco e don Giussani. Scrive don Giussani all’amico Angelo Majo: «Un po’ di sere fa, pensando, ho scoperto che l’unico amico mio eri tu» perché «quella vibrazione ineffabile e totale nel mio essere di fronte alle “cose” e alle “persone” non riesco a captarla se non nel tuo modo di reagire» (Lettere di fede e di amicizia ad Angelo Majo, San Paolo, Cinisello Balsamo-Mi, 2007, p. 103). Questa totale e ineffabile vibrazione (che è un dono dello Spirito più che una sintonia intellettuale o un sentimento psicologico) scatta su un punto: don Giussani nella prima Varigotti (raduno dei primi gruppi di GS appunto nella località di Varigotti) a cui partecipò Lanzoni, raccontò di quando, passando per un viale, vide due ragazzi abbracciati. Subito andò oltre, poi tornò indietro e chiese ai ragazzi cosa c’entrasse il loro amore con tutto questo (indicando il cielo stellato), con il tutto: qui c’è il senso di cosa vuol dire Chiesa in uscita. In una intervista pochi giorni prima di morire, don Francesco fa una sorta di bilancio della sua esistenza e alla domanda su che cosa l’avesse colpito nel movimento risponde che, dopo essere diventato sacerdote, qualcosa stava stretto, tutto era diviso a cassetti: la teologia, la morale… e l’approccio era l’ideologizzazione della coscienza cristiana a compartimenti stagni. Nell’incontro con don Giussani incontra una esperienza capace di fargli sperimentare la totalità di quello che è stato per lui essere cristiano e prete. In una lettera, i monaci buddhisti del monte Koya che don Francesco aveva conosciuto nei suoi viaggi gli scrivono: ci siamo conosciuti per un periodo molto breve ma la nostra è stata una amicizia molto profonda e sentivamo di condividere la stessa missione (“la stessa vibrazione” sottolinea Lanzoni). Saputo della tua malattia abbiamo pregato guardando il tramonto. Don Francesco risponde: il sole che da voi scende rosso la sera sorge qui rosso al mattino proprio davanti alla finestra della mia camera di ospedale, lo guardiamo come un punto luminoso che segnala la presenza del “Centro del cosmo”. “Centro del cosmo” non può non essere presa come citazione letterale della Redemptor Hominis: alla fine della vita Don Francesco riassume il significato di tutto ciò che ha vissuto in Cristo Centro del cosmo, colui che solo può dare risposta alla domanda: ma cosa c’entra questo con tutto il resto? Cristo è la realtà: questo è il punto che ha fatto scattare quella ineffabile vibrazione tra don Francesco e don Giussani. Allora uscita non è andare fuori, è tutta una entrata! Don Francesco in una omelia dice: non è la ragione che detta le norme alla realtà ma è la realtà che detta le norme alla ragione. E don Giussani, ricorda Lanzoni, iniziò un incontro raccontando un fatto apparentemente banale: l’altro giorno ero seduto in un terrazzo di casa mia e stavo leggendo, a un certo punto si è alzato il vento e la finestra ha sbattuto. Cristo non è un atto della ragione ma un fatto e questo Fatto poi consente di trasformare in energia, in forza, l’impatto con qualunque fatto: Don Francesco nell’intervista sopra citata racconta fatti e dice che a tutti i fatti, anche piccolissimi, ha sempre obbedito non come a un ordine di scuderia ma per la forza che scaturiva da quel Fatto e che l’ha portato agli estremi confini del mondo, sempre pronto alla chiamata dello Spirito. Per introdurre l’intervento del secondo relatore, don Ambrogio Pisoni dell’Università Cattolica di Milano e ormai da molti anni impegnato a visitare le comunità di CL specialmente in Asia, viene mostrato un video (https://www.rsi.ch/play/tv/video-cultura-rsi/video/sulle-tracce-di-unamicizia?id=9458431) che racconta il suo rapporto con i monaci del monte Koya, gli stessi che aveva conosciuto don Francesco. Don Ambrogio parte dall’origine dell’essere in uscita: quando parliamo di un cristiano innamorato di Cristo come è stato don Francesco vogliamo rendere omaggio all’opera dello Spirito Santo che incessantemente rigenera la vita della Chiesa che è il corpo di Cristo nel mondo. Il battezzato da quando viene afferrato da Cristo nel giorno del battesimo è chiamato (perché è una proposta alla sua libertà) a diventare protagonista della storia vivendo lui la grande opera degna di questo nome (perché è infinita) che è quella di annunciare il Vangelo di Cristo, non c’è altro lavoro più grande nella vita che annunciare nel mondo Cristo fino agli estremi confini della terra e don Francesco ha vissuto così. Per documentare questo, racconta alcuni episodi che gli sono capitati di recente nel suo viaggio in oriente: A Hiroshima, in una piccola comunità di CL, durante la Scuola di Comunità (il “catechismo” di CL), una ragazza usa la parola segno: ora già è difficile che venga usata questa parola a Milano, in Giappone è praticamente impossibile perché implica una intelligenza della realtà che nasce solo dalla intelligenza della fede: si può dire che la realtà è segno solo se si è incontrato per grazia il volto umano del Mistero. Cioè Cristo: allora si può riconoscere che tutto ciò che accade è segno di Cristo. Questo è un miracolo così come è un miracolo un’altra ragazza che parla di giudizio, cioè riconoscere il significato di quello che sto vivendo adesso (don Giussani diceva che “iniziare a giudicare è l’inizio della liberazione”). Poi incontra Shodo Habukawa, monaco buddhista del monte Koya, una persona il cui sguardo è pieno della devozione a un Altro. Una volta Don Giussani disse di lui che se fosse vissuto ai tempi di Gesù sarebbe stato uno degli apostoli. Ancora un incontro con alcuni studenti in una Università buddhista: la cultura giapponese è quella più difficile da incontrare, i giapponesi non si “mostrano” mai fino in fondo ma con questi giovani quel giorno parlando e gesticolando, chiedendogli “avete capito?” (nella loro cultura questo non accade mai) i ragazzi rimangono colpiti tanto che alla fine alzano la mano e fanno delle domande, cosa che in Giappone non succede mai: altro miracolo. Ancora un’amica gli scrive: mi hanno chiesto perché i giapponesi sono chiusi? Non potevo rispondere bene ma subito dopo abbiamo fatto Scuola di Comunità e ho capito che sono cresciuta senza avere il mio io perché le cose le decideva sempre mio papà, avevo due mentalità una della società e una di mio padre, vivevo un conflitto senza capire il perchè. Allora posso dire che sto vivendo nella grazia del miracolo, il Signore mi ha chiamato, mi ha dato questa compagnia e mi ha fatto incontrare te. Infine a Taipei qualche giorno dopo uno studente non battezzato racconta della caritativa (un gesto di offerta in cui cominci a imparare cos’è la vita ovvero dono di sé): dice che va perché questo gesto lo aiuta a diventare grande. Don Ambrogio a questo proposito racconta che nel 1997 sempre a Taipei un sacerdote aveva detto a due giovani sposi italiani: prima di parlare Cristo bisogna conoscere la lingua e la cultura cinese. E’ un errore di metodo gravissimo: Dio ha creato tutti con un solo cuore capace di riconoscere Cristo e questo ragazzo non battezzato lo testimonia. In conclusione, per evitare che le parole diventino slogan, occorre non dimenticare che stiamo vivendo tempi affascinanti perché costringono i cattolici a rendersi conto di quello che è accaduto all’inizio dell’avventura della Chiesa, perché si tratta di un nuovo inizio. Nella Pentecoste lo Spirito prende la forma di fiamme come di fuoco (non camomilla!) e questa energia si diffonde nel mondo, cambia il mondo e allora, dice don Ambrogio, ditemi voi come si può stare tranquilli in poltrona con il fuoco addosso? Non esiste la Chiesa in poltrona bevendo birra e mangiando popcorn! La Chiesa esiste perché è movimento rigenerato dallo Spirito, esce dalla stanza e va nel mondo incessantemente.
Parlando di Chiesa in uscita non può non venire in mente papa Francesco e così prima di concludere, come ulteriore esemplificazione di quanto è stato detto, Franco, un amico fresco reduce dal viaggio apostolico in Romania (https://it.clonline.org/lettere/2019/06/04/papa-francesco-romania) racconta la sua esperienza: Il popolo romeno è reso triste dalla storia vissuta e dalla realtà attuale. I cattolici sono pochi ma la gente in strada era più numerosa dei cattolici. Questo pontefice ha portato in tutti i luoghi parole e gesti che nessuno poteva immaginare, con pochissime mosse, guardando la realtà della Romania («Non possiamo dire Padre senza dire Nostro»).
Per chiudere Riccardo Lanzoni, come sintesi, cita proprio papa Fancesco nell’udienza generale del 29/05/2019: “Il Risorto invita i suoi a non vivere con ansia il presente, ma a fare alleanza con il tempo, a saper attendere il dipanarsi di una storia sacra che non si è interrotta ma che avanza, va sempre avanti; a saper attendere i “passi” di Dio, Signore del tempo e dello spazio. Il Risorto invita i suoi a non “fabbricare” da sé la missione, ma ad attendere che sia il Padre a dinamizzare i loro cuori con il suo Spirito, per potersi coinvolgere in una testimonianza missionaria capace di irradiarsi da Gerusalemme alla Samaria e di travalicare i confini di Israele per raggiungere le periferie del mondo.”