La questione

Cento ripartenze a Cucciago

3 Novembre 2023
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Il Centro Culturale Luigi Padovese ha ripreso il cammino. Ed è stata una “ripartenza”piena di speranza. Perché abbiamo conosciuto storie, vicende umane che hanno attraversato la sofferenza, la difficoltà, il tunnel del buio e che hanno “incontrato” qualcosa o qualcuno/Qualcuno che ha portato luce, talvolta
fioca, talvolta limpida, in grado di dare speranza anche a situazioni apparentemente disperate.
E il numeroso pubblico, coinvolto e talvolta commosso, le ha ascoltate dalla viva voce di Giorgio Paolucci, giornalista e scrittore – che ha lavorato per ventisei anni al quotidiano «Avvenire», di cui ora è editorialista dopo esserne stato vicedirettore – e da altri due protagonisti della serata, Fedele Costadura e Youlsa Tangara.
Paolucci ci ha presentato il suo libro “Cento ripartenze – Quando la vita ricomincia”. Un libro di esperienze. Esperienze di persone che hanno toccato il fondo, che sono cadute, o che hanno vissuto la fatica del portare su di sé un dolore, magari grande. Esperienze che tutti viviamo, con modalità ed intensità diverse. Che tendiamo però a nascondere, perché il limite, se c’è, è meglio non mostrarlo nella società individualista e performante in cui viviamo. Un libro
controcorrente quindi. Ma che rende testimonianza del fatto che da ogni abisso si può risalire.
E c’è un filo che lega molte di queste storie, che può essere rappresentato dalla parola “incontro”. Sono incontri talora occasionali, magari con persone anonime, che Paolucci definisce “testimoni di speranza”, persone comuni in grado di intercettare l’umano, il positivo, il buono che c’è in ognuno di noi e di far leva su questo per indicare le tappe di una possibile ripresa. Ed è così che Paolucci ci presenta e ci documenta con slides esperienze di redenzione in carcere: un laboratorio di produzione di ostie eucaristiche nel penitenziario di Opera; la missione di Don Burgio cappellano del «Beccaria» e fondatore della Comunità Kayros; la forza della fede del Cardinale Van Thuan rinchiuso in carcere dal regime comunista per più di dieci anni e in isolamento.
Ma ci racconta anche di situazioni di sofferenza, intime, personali, legati alla malattia che acquisiscono un senso, un valore grande nella pur grande fatica.
E poi ecco gli altri protagonisti della serata, che ci raccontano di sé e delle loro particolari “ripartenze”, riportate anch’esse nel testo.
Fedele Costadura
Era un fotografo affermato, Fedele. Studio a Milano, scatti a personaggi prestigiosi dello spettacolo e della moda. E prestigiosa era la casa editrice con cui collaborava, che però, dopo una disavventura finanziaria,ha chiuso i battenti lasciandolo senza lavoro e con un grande credito da riscuotere, perduto per sempre.
Alla disavventura professionale se ne aggiunge una familiare: alla moglie viene diagnosticato una malattia importante, e Fedele deve dedicarle tempo e attenzioni.
“Mi sono sentito precipitare –dice- ma Dio ha voluto che trovassi un gancio a cui aggrapparmi, ed è stata la mia salvezza. ”Quel gancio si chiama Scarp de’ tenis, un giornale di strada sostenuto dalla Caritas che nel titolo si ispira a una famosa canzone di Enzo Jannacci, distribuito in molte città italiane da persone in
difficoltà alle quali viene riconosciuta una percentuale sulle copie vendute. Per Fedele è un’entrata piccola ma significativa che arriva nelle tasche, e diventa anche l’occasione per farsi conoscere da persone che in certi casi gli offrono la possibilità di riprendere in mano la macchina fotografica per qualche lavoretto, guadagnando qualcosa. Benedetto quel gancio. Un altro protagonista della serata, Youlsa Tangara del Mali, ci ha raccontato la sua “ripartenza”.
Lui, il sognatore, che sta realizzando il suo sogno. Quando Youlsa Tangarà aveva sei anni era l’unico studente del villaggio, gli altri bambini andavano a lavorare nei campi, a pascolare animali. Lui no, perché suo padre credeva fortemente nell’istruzione e voleva dargli un futuro diverso da quello dei coetanei. Ma a Neguena, il suo villaggio, non c’era la scuola, e così Youlsa percorreva tutti i giorni otto chilometri a piedi per andare e tornare dalla scuola nel villaggio vicino. Era contento e prometteva bene, perciò il padre decise di fargli continuare gli studi nella capitale, Bamako, fino al diploma di ragioneria. Poi le cose si sono maledettamente complicate in Mali: una grave crisi alimentare, la guerriglia interna, il colpo di stato dei militari. Youlsa fugge in Costa d’Avorio, poi la lunga marcia verso la Libia e il viaggio nel Mediterraneo, destinazione Italia. A Lampedusa arriva dopo
avere visto la morte in faccia ed essere stato salvato da una motovedetta della Guardia Costiera italiana, poi il trasferimento in un centro di accoglienza a Bologna. Il diploma di ragioneria e la conoscenza di inglese e francese diventano i trampolini per trovare lavoro, ma Youlsa non dimentica quello che si è lasciato alle spalle, il suo passato continua a bussare al presente.
Assieme ad altri amici fonda l’associazione Yérédemeton (“mutuo aiuto”) e dà vita al progetto “Un villaggio, una scuola” per offrire ai bambini del suo villaggio l’istruzione e un futuro migliore. Parte una raccolta di fondi che con il sostegno della Caritas e di altre associazioni che permette di raccogliere la cifra necessaria per avviare i lavori e comprare banchi e lavagne. Contemporaneamente a Neguena si mobilitano giovani e adulti per raccogliere pietre, scavare, alzare e dipingere muri, attrezzare due aule.
E il suo sogno si sta realizzando: aprire la scuola che non c’era e adesso c’è. Ma lui ne coltiva già un altro: grazie a una collaborazione con una fondazione di Bergamo sta acquisendo le competenze necessarie per avviare una scuola di formazione professionale. Agricoltura, zootecnia, informatica, elettromeccanica: sono i percorsi che verranno proposti ai giovani maliani, un investimento in formazione che diventi fattore di sviluppo locale e alternativa possibile alla migrazione. Lui non ha dubbi: “ Il futuro del mio villaggio, come quello di tutta l’Africa, passa dalla scuola.
Ho un debito di riconoscenza con la mia famiglia che mi ha permesso di studiare, con l’Italia che mi ha salvato dalla morte in mare, con tanti italiani che insieme ai miei connazionali hanno permesso di costruire la scuola nel mio villaggio. Insieme si può”. Già, insieme si può. Ed è proprio questa la speranza che abbiamo condiviso in questa serata di ripartenza.

Si può rivedere l’intero incontro sul CANALE YOUTUBE del Centro Culturale Luigi Padovese.


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