La questione

Cleuza Ramos e Marcos Zerbini a Napoli

9 Dicembre 2019
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La passione per l’uomo è ciò che maggiormente accomuna il popolo brasiliano e quello napoletano: perciò, per il primo appuntamento dell’anno sociale 2019/2020, il Centro Culturale Neapolis ha scelto di ospitare due amici brasiliani che della passione per l’uomo hanno fatto l’obiettivo e il motore della propria vita. Si tratta di Cleuza Ramos e Marcos Zerbini, presidente e responsabile dell’Associazione “Trabalhadores Sem Terra de S. Paulo” e “Educar para vida”, protagonisti dell’incontro “La passione per la vita, l’amore per il popolo, la salvaguardia dell’Amazzonia”, moderato da padre Antonio Puca, religioso camilliano.
Ad introdurre il racconto dei due coniugi è stato un video che ha ricostruito l’attività della loro Associazione, nata nel 1986 per aiutare le famiglie dei quartieri più poveri di San Paolo ad ottenere terra per costruire case popolari. Con una intuizione generata dall’invito all’azione della Chiesa locale, i “Trabalhadores” hanno respinto lo strumento dell’occupazione dei terreni da cui erano sfrattati, unendo le loro forze per acquistare terre in vendita. Negli anni a venire sono riusciti, così, a costruire case per oltre 35mila famiglie, progressivamente dotando quelle aree urbane, prima abbandonate, di servizi e infrastrutture tipici di una città e poi di centri culturali, educazionali e professionalizzanti. La gioia di aiutare i membri della comunità a riscoprire il proprio valore si è, di seguito, allargata ad una nuova iniziativa: accordi con le università per l’abbassamento delle tasse di iscrizione per ampi gruppi di giovani meno abbienti, poi seguiti nelle loro difficoltà con incontri mensili.
I successi dell’Associazione hanno, però, acquistato senso e luce nuova grazie ad un fondamentale incontro, nel 2003, con il movimento di Comunione e Liberazione. «Ho iniziato il mio impegno nel sociale a 15 anni», ha raccontato Marcos Zerbini, «scegliendo di lasciare il mio lavoro, nonostante le difficoltà economiche della mia famiglia, per affiancare un sacerdote impegnato nella lotta per ottenere servizi di base per le famiglie di una favela. Sentivo che questo era il modo per seguire il mio cuore, dedicando la vita a rispondere al suo desiderio di verità e giustizia. Così ho incontrato Cleuza, che condivideva i miei stessi ideali. Ma», ha proseguito, «nel 2003 ci siamo ritrovati stanchi di questa lotta. Quando si lavoro nel sociale, infatti, corrispondere solo ai bisogni finisce per non bastar mai, perché le persone bisognose saranno sempre più di quelle che si riesce ad aiutare: eravamo arrivati, perciò, al punto di voler lasciare questa responsabilità». L’incontro con Cl ha permesso, invece, a Marcos e Cleuza di proseguire la loro strada con nuove certezze: «Anzitutto che noi non eravamo responsabili del risultato di tutto il nostro lavoro, ma eravamo responsabili per il nostro “sì”, che poi Dio può usare come vuole. Abbiamo inoltre capito che, credendo di seguire il cuore, seguivamo in realtà un’intuizione, mentre solo nell’incontro l’intuizione si trasforma in certezza. E se noi siamo stati capaci di dare vita per un’intuizione, immaginiamo cosa si possa fare per una certezza! Oggi, infatti, il nostro lavoro è molto aumentato, ma è più leggero rispetto agli inizi, perché non siamo più schiavi del risultato».
Marcos ha, così, rievocato un altro momento fondamentale nel suo rapporto con il movimento: «Nel 2005, durante un incontro, don Julián Carrón ha citato il precetto evangelico secondo cui Dio ci ama tanto da conoscere perfino il numero dei nostri capelli. Abbiamo come rivisto come in un film la nostra vita, tutte le volte in cui abbiamo affrontato problemi e sembrava che non ci fosse soluzione, ma invece accadeva sempre qualcosa di inaspettato. Abbiamo capito, allora, che ciò che Dio ha permesso nella nostra vita è sempre accaduto perché imparassimo qualcosa e che Cristo è sempre stato verità nella nostra vita, e se è stato verità in passato è verità nel presente e lo sarà in futuro. In quel momento», ha ricordato, «la nostra vita è cambiata, perché abbiamo capito che il nostro problema non è la mancanza di fede, ma di memoria: se guardiamo il passato, è evidente la presenza di Cristo che ci ama e si prende cura di noi, ma quando ci troviamo di fronte a un nuovo problema lo dimentichiamo. La grande sfida ogni giorno», ha concluso, «è allora non dimenticare che Cristo è presente nella nostra vita oggi e continuerà a esserlo domani, proprio come Lui ha detto: “Io sarò con voi fino alla fine dei tempi”».
In un suggestivo frammento del video introduttivo Cleuza Ramos, durante un’assemblea del 1990, dice “Se io sono il presidente dell’Associazione dei Lavoratori Senza Terra, la mia vita non vale niente”. Da quel frammento l’ospite ha preso spunto per raccontare il suo cammino di crescita nel lavoro e nella fede: «Allora mi sentivo proprio così, credevo che la mia vita non valesse nulla. Lavoravo con gente bisognosa, ciò mi commuoveva, ma ero molto triste. Ero sposata con uomo ricco, ma l’ho lasciato, perché non condivideva il mio desiderio di salvare il mondo. Ho incontrato, così, Marcos, con il quale è nata un’amicizia fondata sul nostro comune ideale, che ci ha portato poi a convivere, non come coppia, ma in favela, in povertà, per condividere la condizione di coloro che cercavamo di aiutare. Eppure», ha ricordato «non ero felice, perché le famiglie senza casa erano sempre di più. Oggi mi rendo conto che in quel periodo scambiavo Cristo per i poveri, ma Lui non era più il centro della mia vita, e infatti non andavo nemmeno più a messa». Nel 2000, Cleuza conosce volontario dell’associazione appartenente a Cl: delusa dalla Chiesa, la donna rifiuta l’invito che l’amico le riproporrà per due anni a conoscere il movimento, finchè non accetta di partecipare con Marcos a un incontro sull’esperienza del lavoro nel sociale, a Rio de Janeiro. «In quell’occasione Giorgio Vittadini ha narrato un episodio della vita di don Giussani. Un gruppo di ragazzi che, sotto la sua guida, faceva caritativa in Bassa, aveva incontrato una donna povera e le aveva dato dei soldi per comprare da mangiare; Giussani li aveva allora spronati a tornare da lei il giorno seguente per vedere di cosa avesse bisogno; ma erano rimasti scandalizzati dal fatto che la donna avesse acquistato un rossetto. Udendo ciò, Giussani li riprese, invitandoli a riflettere su quale potesse essere il vero bisogno di quella donna, prima di giudicarla. Questa storia», ha spiegato Cleuza, «mi ha toccato profondamente, facendomi realizzare che anche io davo per scontato che la vera necessità per le persone fosse avere cibo e una casa, ma così non davo importanza a quelle persone. Da allora ho iniziato a vedere la vita in modo diverso e il cammino che ho intrapreso in Cl mi mostrato quel valore che credevo che la mia vita e la mia persona non avessero».
Cleuza ha concluso la sua testimonianza affermando di essere «nella migliore epoca della mia vita e anche del mio lavoro: non è un caso che di tutti i movimenti popolari del Brasile il nostro sia l’unico ancor esistente. Abbiamo capito che la lotta per la casa non è un obbligo, ma una vocazione, ho capito che la mia vita è vocazione, e la mia vita ha un nuovo valore, ogni conquista è una vittoria e ciò che manca è in cammino. Il movimento mi ha donato anche uno sguardo nuovo sul mio matrimonio con Marcos, che non mi è stato dato da Dio per salvare il mondo, come credevo quando l’ho conosciuto, ma per costruire la strada della mia vita che ci porta a Cristo. Perciò», ha affermato, «dico grazie a tutti coloro che partecipano al movimento, grazie a voi che avete costruito il movimento, perché incontrandolo ho capito che la mia vita vale molto e quanto Dio mi ama».

Valentina Caruso

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