La questione

Come un picnic sul tetto. La sorpresa dell’umano

IL LAVORO DEL CENTRO CULTURALE DI RIMINI

12 Giugno 2020
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Già pochi giorni dopo l’avvio del lockdown è emerso evidente lo sforzo di tutto il ‘sistema’ (delle merci e della cultura) per anestetizzare lo sgomento di tanti di fronte alle nuove condizioni di vita e di lavoro.

E in fondo per noi la tentazione era lo stessa: offrirsi come risposta unica e sufficiente di tutte le domande che stavano nascendo, offrire una risoluzione – la più efficace e tempestiva possibile – a tutti gli interrogativi e a tutte le angosce. Come se il nostro compito fosse quello di competere con la pretesa invasiva della ‘tecnica’ – o di qualunque altra fede o ideologia – offrendo una nostra risposta ugualmente esaustiva, ma più buona, più morale, più profonda; pensando che la nostra originalità, la nostra capacità culturale potessero davvero rispondere al cuore dall’uomo ed esaurirne il desiderio.

Con il centro culturale abbiamo deciso di aspettare, di non organizzare altri eventi, di guardare, di avere caro sopra ogni cosa quel bisogno che stava emergendo, provare a seguirlo, facendoci stupire da ciò che ne sarebbe nato (invece di pretendere di spiegarlo in tutti i suoi aspetti o addirittura anticiparlo con le nostre parole). Non certo l’unica scelta possibile o l’unica vera, ma quella che offriva al nostro lavoro la sfida più interessante.

In questo contesto (dentro un lavoro serrato di ricerca), il libro di Carrón “Il Risveglio dell’umano”, Bur-Rizzoli, ci ha offerto un quadro di riferimento organico e abbiamo pensato di costruire partendo da esso una serie di percorsi di giudizio che potessero valorizzare gli incontri e le letture fatte. Anche perché la fine dell’emergenza, la domanda sul dopo, il rischio di un moralismo di ritorno (adesso dobbiamo dimostrare di essere cambiati…) o, al contrario, di uno scetticismo ancora più desolato (tornerà tutto come prima), ci offre lo spazio per un giudizio originale sull’esperienza vissuta; e anche perché nel frattempo noi stessi abbiamo attraversato questa realtà inusuale con tutte le sue contraddizioni e le sue scoperte.

Oltre a ciò, in questo periodo è anche maturato un certo indirizzo sul linguaggio e sulle modalità con cui proporsi sulla rete.
Così abbiamo immaginato, a partire da alcune parole chiave del libro, un vero e proprio percorso, una sorta di narrazione live e social, articolata in più eventi on-line, all’interno della quale proporre brani letterari, musicali e incontri, cercando di favorire proprio il dialogo come occasione nel quale anche la linearità e la ragionevolezza dei nostri giudizi (comunque necessaria e frutto del nostro lavoro) possa essere sorpresa dall’umano che accade.
Inoltre, lo sviluppo di ogni evento come una vera e propria narrazione, con un proprio ritmo e con contenuti di natura diversa, è pensato per favorire una partecipazione degli ‘utenti’, sfruttando anche le possibilità interattive dei social, e la sua successiva fruizione registrata.

In sintesi, il percorso dei primi due appuntamenti riprende alcune parole e temi del dibattito attuale – come fragilità, desiderio, cambiamento – cercando di approfondirle alla luce del libro di Carrón e della stessa nostra esperienza.
Così, lo shock della realtà diventa l’inizio di uno sguardo diverso (Chesterton, Foster Wallace, Pirandello) e la sorpresa dell’umano, più che la sorpresa di un fare generoso e inaspettato, o almeno non solo, diventa la sorpresa dell’io, che riemerge irriducibile.
Allo stesso modo, la fragilità non è solo la conseguenza del covid, di un contesto o di circostanze estreme, ma è fragilità strutturale, tensione infinita del desiderio: la crepa (come nella canzone di Cohen), la ferita di cui parla Péguy, attraverso la quale entra lo stupore delle cose (Stupito di che? Delle cose come dice Gozzano), e, anche, la sorpresa di sé.

Detto con le parole dell’esperienza:
“A marzo in piena emergenza abbiamo incominciato a vederci online. Erano i giorni in cui il ciclo di eventi a cui stavamo lavorando da luglio dell’anno scorso sarebbe stato in pieno svolgimento: valeva la pena proporre gli stessi incontri su piattaforma? Certo, si poteva fare, non era difficile, in tanti lo stavano facendo. Abbiamo preferito lasciarci sfidare dal libro di Carrón in uscita proprio in quei giorni. Senza un progetto preciso. Il desiderio era innanzitutto di far nostre quelle parole, di non lasciare che quello che ci stava capitando ci scivolasse via semplicemente come qualcosa da far fuori il prima possibile e passare ad altro, magari al nostro programma già definito.
Lavorando con filosofi e giornalisti non mi sono mancati momenti di fatica, peró qualcosa stava succedendo in quegli incontri del lunedì. Il nostro era comunque il lavoro del Centro culturale, attraverso il tentativo di guardare cosa stava succedendo, cosa ci stava succedendo. Ognuno di noi disponibile ad un cambiamento di prospettiva per lasciare spazio all’urto di una realtà che scardinava le sicurezze che ci riparano dalle domande più brucianti. Parole del testo come realtà, bolla, desiderio, fragilità, silenzio, condivisione stavano assumendo una profondità nuova verificata nella vita strana di quei giorni.
Ci siamo messi al lavoro andando a ritrovare chi in letteratura, poesia ed esperienze, descriveva o aveva vissuto quella profondità di domande che la drammaticità del momento, stavano chiedendo ad ognuno. E, forse per la prima volta, mi è accaduto che il lavoro del Centro culturale era il lavoro della vita, coincideva con il lavoro per la mia vita. La verifica della fede. Cosa teneva di fronte a tutto ciò.
Quegli amici, attesi ogni lunedì sullo schermo, sono diventati i compagni per non mollare rispetto alla sfida imposta dalla realtà Covid.
Questa verifica è accaduta per me nel lavoro in Farmacia innanzitutto: non mi sono sottratta alla realtà delle persone impaurite e smarrite, lasciando che le richieste di ognuno potessero diventare domande di significato per ogni attimo e di ogni gesto.
Fra fatiche, ma anche bellezza di rapporti, arrabbiature e ripartenze, ho vissuto la fragilità mia e di chi incontravo non più come un ostacolo, ma come la possibilità di far entrare una luce inattesa che ha portato un cambiamento di sguardo nelle giornate più faticose, lasciando spazio al desiderio del cuore che più di ogni altra cosa mi definisce.” (Giovanna)

Gli amici del Centro Culturale di Rimini

Scarica la locandina dell’evento del 3 luglio


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