La questione

FARE CULTURA OGGI

Featured image for “FARE CULTURA OGGI”

Queste settimane ci costringono a fare i conti con il dramma del dolore e della morte e con l’incertezza del futuro. L’epidemia non è rimasta fuori dalle nostre case. Tanti amici e conoscenti hanno vissuto in prima persona la lotta contro la malattia e la perdita di uno o più cari. Senza contare che il presente lavorativo di molti è rimasto da subito intaccato, con le prospettive a venire ancora più fosche.
Quando la realtà si presenta così duramente, in noi sorgono inesorabili alcune domande. Che senso ha tutto questo? Che cosa vuoi, Tu, Signore, da me? In cosa e in chi consisto, di fronte agli eventi che accadono?
La prima sfida a cui siamo chiamati è il non mettere a tacere tali contraccolpi. Chi non se li è risparmiati, e ha aderito alla “pressione delle occasioni”, così radicalmente mutate rispetto al passato, ha potuto accorgersi di quale atteggiamento vinceva in lui: uno smarrimento, una insicurezza esistenziale o una certezza.
Le iniziative culturali a cui stavamo lavorando sono al momento sospese. La possibilità di una espressione culturale, dunque, è impedita? Che cos’è, davvero, la cultura? Lavorare su questi interrogativi, alla luce del tempo presente, ci fa accorgere del nesso profondo tra cultura e certezza. Certezza fondata non su una previsione ottimistica (“andrà tutto bene”), ma sull’esperienza di bene toccata con mano nella nostra vita. Ripensando a cosa ci ha mossi in molte proposte culturali fatte sin qui, a quale origine le nostre iniziative abbiano avuto, non si può non pensare a questa certezza: il fatto di Cristo presente nella storia dell’uomo, e il desiderio di comunicarlo a chiunque. Il riscontro di questo, è la nostra accresciuta familiarità con Lui e lo stupore in coloro che ci hanno incontrati. Quando, invece, le nostre iniziative, pur grandiose in termini di partecipazione, sono mancate di questa certezza, hanno lasciato in noi solo la soddisfazione effimera di uno sforzo generoso.
Fare cultura, dunque, è intimamente connesso a questa certezza. Per questa ragione ci siamo accorti che la possibilità di una espressione culturale non è mai tolta, ma accade in questi giorni, anche al chiuso delle nostre case, nella radicalità dell’istante: nella relazione con la moglie o con il marito, con i propri figli, nel modo di farsi compagnia a distanza con i colleghi, nell’essere disarmati (e lontani) di fronte al dolore di un parente o di un amico, nel venir meno dell’attività lavorativa e nella coscienza che il proprio valore non coincida con la capacità di produrre profitto ma con l’accorgersi d’essere amati da Chi permette ogni cosa. Con questa consapevolezza, persino il preparare un caffè al mattino e servirlo a chi è in casa con noi è un gesto di natura culturale.
Non sono né la forma, né gli spazi, né la prossimità fisica i termini che dettano le condizioni del fare cultura, ma è il “chi” si muove dentro le cose come soggetto, come creatura nuova. “Quanto più i tempi sono duri, tanto più è il soggetto che conta (…) Quello che conta è il soggetto, ma il soggetto è la consapevolezza di un avvenimento, l’avvenimento di Cristo, che è diventato storia per te attraverso un incontro, e tu l’hai riconosciuto. Dobbiamo collaborare, aiutarci all’insorgere di soggetti nuovi, cioè di gente consapevole di un avvenimento che diventa storia per loro, altrimenti possiamo creare reti organizzative, ma non costruiamo nulla, non diamo niente di nuovo al mondo”. (Un evento reale nella vita dell’uomo. 1990-1991, Bur, Milano 2013, p. 39).
Allora, il lavoro a cui siamo chiamati – oggi come in qualunque tempo – è la fedeltà al luogo in cui l’Avvenimento accade, perché “è in esso che emerge quello che realmente sono e la concezione del mondo che ho”. La scuola di comunità di questo periodo ce lo testimonia in modo assolutamente pertinente, parlando della conoscenza e della mentalità nuova: “Poiché l’origine di una conoscenza nuova non è un’idea ma un luogo, una realtà vivente, il giudizio nuovo è possibile soltanto in un rapporto continuo con questa realtà, vale a dire con la compagnia umana che prolunga nel tempo l’Avvenimento iniziale” (Generare tracce nella storia del mondo – Luigi Giussani, Stefano Alberto, javier Prades – Bur Saggi 2012).
La certezza, dunque, risiede tutta in un rapporto a cui ci consegniamo. E il sintomo più chiaro, l’elemento più immediatamente percepibile di questa certezza vissuta è la simpatia, l’amore nutrito verso tutto e tutti.

Il Centro Culturale S. Omobono di Cremona

Rileggi l’editoriale di AIC del 30 marzo 2020 – la cultura è partecipazione
Rileggi l’editoriale di AIC del 23 marzo 2020 – La cultura della carota
Rileggi l’editoriale di AIC del 19 marzo 2020 – Vivere nei giorni del Virus
Rileggi l’editoriale di AIC del 11 marzo 2020 – Zona Verde: Cultura, ripresa della vita
Rileggi l’editoriale di AIC del 29 febbraio 2020 – L’avventura della Cultura


Condividi: