Con la scomparsa di Vittoria Sanese viene meno alla rete dei nostri centri culturali una cara amica e, al contempo, una figura di riferimento centrale sulle tematiche della famiglia, realtà fra le più complesse e discusse del nostro tempo.
Avvalendosi di una solida formazione in ambito psicologico, Vittoria aveva elaborato, infatti, un suo originale pensiero, strutturatosi su uno sguardo appassionato alla realtà, filtrato dall’immedesimazione nell’ antropologia generata dall’insegnamento di don Giussani e dall’appartenenza viva al movimento di Comunione e Liberazione.
Questa fiducia nella centralità della famiglia l’aveva portata a curare innanzitutto la sua grande famiglia, (Vittoria, da vera massaia romagnola, era anche una bravissima cuoca), in cui dai sei figli si era generata una schiera di nipoti, e a dar vita, fin dal 1970 al Consultorio Ucipem di Rimini, luogo per decenni di riferimento per tante coppie in difficoltà nel rapporto reciproco e con i figli.
Alla base della sua visione stava la convinzione che centrale in famiglia fosse il riconoscimento di una dignità della persona, che non doveva mai venir meno, neppure nei momenti di maggiore difficoltà, da estendersi alla cura amorosa dei figli, accompagnati, al di fuori di logiche protettive e prestazionali, ad aprirsi alle sfide della vita. Come si legge in una poetica sequenza del suo più celebre libro Ho sete, per piacere i genitori devono imparare a “spalancare, allargare le braccia”, senza cedere alla tentazione di “stringerle”, per portare i figli a “imparare la vita e l’esistere”.
Il continuo appello alla responsabilità genitoriale, a cui non venir meno neppure nei casi di dolorosa separazione, è stato ribadito negli anni, oltre che nell’ ininterrotta pratica terapeutica, nella generosa presenza a momenti di formazione, scuole genitori, convegni, in cui era straordinaria la sua lucidità di intervento e la sua capacità di entrare in dialogo con le domande anche più spinose. Da lei si generava una pacificazione nei confronti degli inevitabili limiti emergenti dall’esperienza, congiunti ad un invito a rilanciarsi sempre nella responsabilità educativa.
La sua lucida passione non si è affievolita neppure negli ultimi mesi di dolorosa malattia, quando, nell’esplosione della questione affettiva nel rapporto fra i sessi, nata dalla morte di Giulia Cecchettin, a lei dobbiamo riconoscere il commento più lucido nella lunga intervista rilasciata a Tempi il 21 novembre. In essa, in coerenza con tutto il suo insegnamento, Vittoria ribadiva che il vero problema consisteva nella modalità in cui oggi si guarda all’”umano” in una famiglia che ha ormai perso la propria identità e che “ ogni intervento fatto a scuola, o nell’adolescenza, resterà un intervento intellettuale se la dignità non si è fatta esperienza e carne quotidiana in famiglia”. Il narcisismo dominante i nostri tempi e non il persistere di una famiglia patriarcale era la vera origine di questo come di tanti drammi dei nostri tempi.
Ancora una volta ci siamo sentiti debitori nei suoi confronti. Grazie Vittoria, il tuo insegnamento rimarrà vivo in tutti noi.
Ombretta e il direttivo di AIC