La questione

La felicità nell’arte. Il mondo di H. Bosch

14 Novembre 2019
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Quasi duecento persone, in quel di Cucciago, tutte attente, dapprima semplicemente incuriosite, poi titubanti e impensierite quando quel viaggio si è riempito di mostri immaginari, ma evocativi di parole antiche quali “colpa” e “pena”, che non ci sono quasi più familiari. Però, in ogni caso, “viaggiatori” fiduciosi , perché ben accompagnati da una guida d’eccezione, Luca Frigerio giornalista, scrittore e storico dell’arte.

E così abbiamo fatto conoscenza di Bosch, o meglio delle sue opere. Perché della sua vita si sa veramente poco. Vissuto nell’attuale Olanda, in un’epoca – il Rinascimento – di rivoluzioni culturali, di invenzioni e di scoperte, di capolavori artistici. Figlio d’arte, uomo tranquillo, borghese, benestante. Colto; lo si deduce dalle sue opere, piene di simbologie, di richiami allegorici e di riferimenti legati a tradizioni e credenze proprie di tutto il Medioevo. Uomo religioso; apparteneva a una Confraternita e le sue opere si rifanno a temi classici della fede cristiana, anche se vengono sviluppati in maniera straordinariamente originale, ma sempre nell’alveo dell’ortodossia cattolica.Un artista che resta comunque un mistero. In ogni caso, un uomo con cui ci siamo confrontati, soprattutto in riferimento alla ricerca della felicità, il nostro tema di quest’anno.

Ed ecco che Bosch ci illustra la felicità al negativo, cioè ci mostra cosa non è vera felicità. Attraverso, ad esempio, il “Trittico del fieno”. Un carro colmo di fieno viene tirato da un gruppo di strani esseri. Si dirigono verso l’inferno. Attorno al carro, un brulicare di persone di ogni tipo che si azzuffano, aggrediscono, si ammazzano, per arraffare manciate di quel fieno, giallo, dorato, quasi fosse il vitello d’oro dell’Antico Testamento. Come cita un antico proverbio olandese “ Il mondo è come un carro di fieno, ciascuno ne arraffa quello che può”. Ma il fieno secca, non porta a nulla; è simbolo di transitorietà e futilità. Tutt’intorno è caos delirante, la vita è in scena, raccontata con grande realismo. Episodi quotidiani si susseguono in un intreccio terrificante , dove nessuno sembra accorgersi della banda di esseri demoniaci e viscidi che guidano il carro. Il messaggio è chiaro: le persone che bramano vanità e beni terreni cadranno nell’avarizia e nella ferocia e andranno direttamente agli inferi. Ma sul trittico chiuso, un’unica scena: un viandante, segnato dall’età e dalla vita, malinconico, di una malinconia atavica segno di un altrove desiderato, perché più ospitale. In lui ciascuno si può rivedere, perché il viandante va, e la vita è una strada che presenta ogni giorno la scelta tra il bene e il male: il tema preferito di Bosch.

Frigerio ci ha presentato poi un’altra misteriosa, affascinante e intrigante opera di Bosch: il “Trittico delle delizie”, cioè la dolcezza che presto svanisce. Un’opera molto complessa, sia per i significati simbolici che per la straordinaria capacità immaginifica. Il Trittico rappresenta numerose scene della Bibbia e ci descrive la storia dell’umanità secondo la dottrina cattolica. Gli studiosi hanno spesso interpretato l’opera come un ammonimento agli uomini per quanto riguarda i pericoli delle tentazioni della vita. Ma questa grandiosa composizione non può essere racchiusa nello schema: creazione, peccato, punizione.

Con una pittura che si fa teologia, Bosch ci ricorda che Dio ha creato il mondo per iniziare una storia d’amore con l’uomo. E la scena iniziale della creazione dell’uomo e della donna diventa chiave interpretativa di un messaggio di fiducia. Il Creatore, con le sembianze di Cristo, tiene per mano Eva; la madre dei viventi diventa sposa di Cristo, come la Chiesa. E Cristo la presenta all’uomo, che la incontra e la riconosce in uno sguardo pieno di speranza. Ed è salvezza. Bosch, un uomo, un artista di un’attualità sorprendente.

Luca Frigero – scrittore, giornalista e critico d’arte, è redattore dei media della Diocesi di Milano, per i quali cura la sezione culturale

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