La questione

Liberi di scegliere

La battaglia di un giudice minorile per liberare i ragazzi della ’ndrangheta

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Il libro contiene una appassionata narrazione di un’avventura intensamente umana e professionale, compiuta dal magistrato Roberto Di Bella il quale tra il 1992 e il 1993 inizia la propria carriera giudiziaria come giudice del Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria.
Dal momento iniziale in cui il giudice fotografa la propria inconsapevolezza con cui opta per la sede calabrese al successivo racconto di molti casi processuali di cui si è occupato, l’autore ci accompagna con sincerità in tutti i tornanti più decisivi e drammatici del suo lavoro a stretto contatto con i minori appartenenti a famose e temute famiglia malavitose della regione. Il racconto è quello di un uomo che inizia ad occuparsi di procedimenti penali in cui gli imputati sono ragazzi adolescenti, molti dei quali cresciuti in contesti familiari inseriti nella mafia locale, la ‘ndrangheta.
L’impatto con questo mondo fa subito sentire tutto il suo devastante urto: vicende terribili di cronaca nera (omicidi sanguinosi, rapine a mano armata, fughe e sparatorie) in cui sono coinvolti come responsabili anche minorenni. La ferocia di determinate azioni criminali e la assoluta freddezza e calma dimostrate dai loro protagonisti durante le udienze processuali (due caratteristiche del tutto inusuali in adolescenti di 15/17 anni) hanno pian piano dischiuso al giudice minorile la comprensione del fenomeno malavitoso chiamato ‘ndrangheta e della relativa cultura criminale: un sistema di valori in cui la famiglia e l’onore rappresentano gli ideali supremi ai quali sacrificare tutto (e per i quali si è disposti a tutto), un mondo nel quale non è concesso avere sentimenti, in cui le donne hanno un unico ruolo da assolvere (quello di accudire la prole), in cui i giovani rampolli delle famiglia mafiose vanno incontro ad un destino già scritto (venire coinvolti nelle attività illecite dei clan) e al quale non è possibile sottrarsi se non a un prezzo altissimo. La realtà del contesto è dura, ostinata, urticante e testarda: dopo poco tempo il magistrato capisce che la ‘ndrangheta non si sceglie, si eredita.
Il viaggio raccontato si alimenta dei sentimenti di impotenza, di ingiustizia e di inutilità professionale che l’autore ammette di provare in molteplici casi giudiziari nei quali si giunge ad una chiusura processuale formalmente corretta (ad esempio, la condanna del minore imputato) senza tuttavia arrivare ad una soluzione “di sostanza” che porti un reale cambiamento nella vita del minore condannato. Con il passare degli anni, i nomi che figurano sulle copertine dei fascicoli processuali sono sempre gli stessi, e agli occhi del protagonista ogni inchiesta giudiziaria in cui sono presenti membri di determinate “famiglie” appare come un film già visto, una storia di cui si conosce già il finale senza la minima possibilità di scriverne uno diverso. Tuttavia, dopo i primi anni di esperienza e di conoscenza di quel mondo micidiale, il giudice inizia a percepire negli sguardi dei ragazzi che incontra nelle aule di Tribunale un inconfessabile senso di malessere, di sofferenza, di oppressione: l’idea che la ‘ndrangheta produce dolore e sofferenza non solo in coloro che ne subiscono l’oppressione ma anche negli oppressori stessi. Dunque non criminali irrecuperabili, ma adolescenti che potevano (e dovevano) essere aiutati: un dialogo era possibile e Roberto Di Bella non voleva lasciare nulla di intentato, ormai pienamente e umanamente coinvolto con il destino di quei ragazzi.
Il senso di frustrazione e di impotenza di cui si è detto e la percezione del dolore e della sofferenza di alcuni adolescenti, invece che deprimere il narratore e fargli deporre le armi, sortiscono l’effetto di una scintilla che mette in moto il magistrato alla ricerca di soluzioni nuove e inesplorate, sempre con l’unico fine di tutelare la crescita dei minorenni condannati e di offrire una possibilità di vita e un futuro diversi da quelli che le loro famiglie avevano già scelto per loro. Un percorso sempre rispettoso della storia particolare di ciascun ragazzo incontrato e senza la preoccupazione di applicare a priori uno schema o una procedura consolidata.
A questo punto del percorso, il protagonista racconta l’inizio di una lunga e ininterrotta serie di provvedimenti giudiziari di allontanamento di minori dai loro contesti familiari per affidarli a Comunità protette o famiglie affidatarie lontane dal loro paese e dalla regione Calabria, perché l’esperienza aveva già ampiamente dimostrato la forza intimidatrice e la penetrante efficacia del richiamo criminale dell’associazione, della “famiglia”, esercitata sui territori di competenza. Se si voleva davvero dare una possibilità diversa a quei ragazzi, il magistrato intuisce che occorreva necessariamente far vedere loro che la vita poteva essere davvero un’altra cosa, offrire loro un paradigma culturale e affettivo diverso e quindi trasferirli in altri contesti e territori.
“Liberi di scegliere” è stato ed è tuttora il tentativo di rischiare una possibilità di vita nuova e diversa, di scommettere sulla forza e sull’attrattiva di un mondo libero da violenza, oppressione, omertà e menzogne. Una strada tortuosa, in salita, piena di ostacoli e di minacce ma l’unica possibile per restituire ai figli della ‘ndrangheta il coraggio di dire io. (Il portico del Vasaio, Rimini)

Scarica la locandina della presentazione del film ispirato al libro di Roberto Di Bella del 6 maggio alle ore 21.00

Acquista il libro
Liberi di scegliere.
La battaglia di un giudice minorile per liberare i ragazzi della ‘ndrangheta
di Roberto Di Bella, Monica Zapelli, Edizioni Rizzoli


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