L’incendio di Notre-Dame.
Ti fermi davanti allo schermo della TV, eppure ti accorgi che non è scontato sentire qualcosa. Provare dolore o tristezza non è ovvio. Forse è una mia meschinità, ma corri subito con la mente al fatto che la tua casa è salva, che tu sei a cena, che tu e i tuoi si sta tutto sommato al sicuro.
Sensazione brevissima, del resto, quando ogni minuto che passa, in ogni posto anche minimo del mondo, presenta imprevisti, novità, rischi, pericoli, tragedie a cui in fondo nessuno di noi si può sottrarre.
Eppure, in questa apparente situazione di momentanea tranquillità e comodità, senti dentro qualcosa che si rompe, davanti a quelle fiamme che bruciano la cattedrale. Come se fosse casa tua quella che va a fuoco. Hai il cuore piccolo, minimo, ma non si può non sentire quella crepa dentro. È evidente, è il crescere di un disagio.
Allora mi sono chiesto stamattina in classe, davanti ai miei studenti: come mai oggi la tendenza è tutta per un fortissimo euroscetticismo, i governi ormai sono tutti sovranisti e autonomi, siamo appena usciti dalla brexit inglese, ogni stato innalza confini per salvare identità proprie – eppure l’incendio di Notre Dame lo sentiamo tutti quanti come un personale, individuale, nazionale colpo al cuore? Come se fosse crollata la cupola di San Pietro. Come se il tetto di casa mia avesse iniziato a cedere, senza lasciarmi più tranquillo?
Ma allora esiste ancora un’Europa vera nel nostro cuore, prima ancora che nelle burocrazie e nelle istituzioni?
Poi ho guardato negli occhi i miei studenti di quinta e gli ho detto: voi andrete a votare a maggio per le elezioni europee, ma avete, abbiamo, per nulla in mente che cosa andiamo a fare? C’entra niente quello che è accaduto stanotte, quelle fiamme, quel dolore che abbiamo sentito come della perdita di una casa comune, c’entra niente tutto questo col voto che andremo a dare? A cosa siamo di fronte in occasione di questa tornata elettorale? Alle mode, ai consigli dati su internet, a quello che dicono amici o parenti a seconda delle tradizioni e dei venti che tirano, a un voto dato “di pancia”? O finalmente quello che è accaduto ci può cominciare a far aprire gli occhi su chi siamo veramente, sulla grandezza che il nostro animo porta, che il nostro cuore ha nascosta dentro, grandezza e solidarietà, fratellanza e profondità, che l’incendio di Notre Dame può rimettere in luce, può far risorgere in noi?
Possiamo ricordare chi siamo veramente? Quello che è all’altezza dei nostri desideri? Quell’Europa che nasce ben prima delle istituzioni, da una magnanimità nel sentire, nel ragionare, nel pregare che è insita dentro l’esistenza di ognuno di noi?
C’è un racconto di Raymond Carver che si intitola “Cattedrale”. Due americani, uno dei quali cieco, davanti alla tv, in tarda serata. Danno un documentario sulle cattedrali medievali. Il cieco chiede all’amico di descrivergli com’è fatta una cattedrale, ma questi non riesce a farlo. Sembra non aver più alcuna categoria per descriverla. Non sa da dove cominciare.
Il cieco lo invita a guidare la sua mano su un foglio, in modo almeno da fargliela disegnare. Ci provano, e mentre disegnano cominciano a provare felicità, percepiscono una grandezza che li rende ancora più amici, che corrisponde pienamente ai loro cuori.
Quella descritta da Carver è la sfida che aspetta tutti noi.
Nicola Campagnoli
16 aprile, 2019