Passato, presente e…… domani? Il Centro culturale San Mauro dialoga con Mario Calabresi
di Maurizio Vitali
C’è stato anche chi via zoom si è collegato addirittura da Philadelphia, da Rochester, dalla Germania e molti altri anche da varie parti d’Italia per seguire l’incontro (che più “locale” non avrebbe potuto essere, essendo organizzato dal Centro culturale San Mauro di Gessate, in collaborazione con la Comunità Pastorale
della Divina Misericordia e patrocinato dal Comune della non grande località del Milanese), con il giornalista e scrittore Mario Calabresi. L’interesse destato è andato oltre le previsioni e oltre i confini. Il bello è che l’iniziativa non è nata da una strategica programmazione a tavolino, ma semplicemente dal desiderio personale di alcuni gessatesi del “San Mauro”, che di Calabresi hanno letto Spingendo la notte più in là, o La mattina dopo, o il recentissimo Quello che non ti dicono; o si sono messi a seguire il suo blog e la newsletter “Altre/Storie”, o hanno saputo della mostra fotografica intitolata “Ma noi ricostruiremo”, e ne sono stati talmente calamitati, da desiderare di “dialogare a tutto tondo” con lui. Con l’uomo rimasto orfano a due anni del padre, il commissario Luigi Calabresi, ucciso da estremisti di sinistra; con il giornalista, direttore della Stampa e poi di Repubblica, che a cinquant’anni ha reinventato la
sua professione dopo essere stato sollevato dall’incarico, dalla sera alla mattina, dagli editori del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari; con uno scrittore, infine, “che ha continuato – è stato detto nella presentazione – ad offrirci libri ricchi di storie vere, umane, raccontate con passione e attenzione”.
MA NOI RICOSTRUIREMO – Si parte dalla mostra fotografica realizzata da Calabresi. Il titolo – “Ma noi ricostruiremo” – sembra pensato apposta per il dopo pandemia. In realtà è stato pensato prima, ma risulta del tutto pertinente al contesto attuale. Le foto ritraggono luoghi di Milano distrutti dalle bombe nel 1943, durante la seconda guerra mondiale, e gli stessi luoghi ricostruiti e tornati a nuova vita e a nuova bellezza dopo: Piazza della Scala, San Fedele, la Galleria Vittorio Emanuele, Piazza Fontana, l’Università degli studi…ma vuoti, deserti. Le foto, conservate nell’immenso archivio della vecchia agenzia Publifoto
(acquisito e così salvato da Intesa Sanpaolo), hanno suscitato in Calabresi non solo lo sgomento per le case, le fabbriche, i monumenti ridotti in macerie, e più ancora per la morte o lo strazio di tante persone e tante famiglie (c’erano anche case popolari in piazza Fontana), ma insieme anche un’ammirazione commossa per
l’energia umana impegnata nella ricostruzione post bellica. Così la mostra (riaperta il 4 febbraio e visitabile alle Gallerie d’Italia, Milano) è insieme memoria di un evento cruciale passato e stimolo per un risveglio teso al futuro. Nel racconto di Calabresi viene fuori il suo interesse preminente per il “fattore umano”. “Mi sono
detto con stupore: ma guarda da che annichilimento ci siamo risollevati”. E dunque oggi…
UMANO AL CENTRO – Perché una newsletter che si chiama “Altre storie”? “Dopo il licenziamento da Repubblica ho deciso di fare qualcosa di radicalmente diverso. Un’informazione che si distinguesse dal panorama uniforme dei media, che mettesse al centro le persone, le storie personali, il vissuto reale” che non è espresso dal raccontare i fenomeni semplicemente nell’aspetto generale, e ultimamente astratto. “Occorre trovarci dentro l’umano”. Mi vengono in mente Enzo Jannacci e Michel Azurmendi. Il medico cantautore l’ho sentito dire ai ragazzi di Portofranco, nel 2011, “se non vedo l’umano, non capisco”. L’intellettuale
basco, in una video intervista con Fernando De Haro, afferma che la vera conoscenza ha per oggetto non illuministicamente l’universale astratto ma, realisticamente, il particolare concreto. Mario Calabresi racconta l’umano, il particolare concreto, qualcuna delle mille storie di persone che è andato
a scovare in ogni dove. E racconta in modo che, a dispetto del fatto che sei fisicamente solitario spettatore a distanza, ti senti come fisicamente in compagnia, coinvolto nella familiarità di una conversazione tra un gruppo di amici, che so? nella taverna di uno che ha la casa grande.
Per dire come la relazione umana fa la differenza, Calabresi racconta la storia di quei due anziani coniugi, 50 anni di matrimonio, lei con l’Alzheimer in una casa di riposo, lui che le sta accanto tutto il giorno e rincasa solo per la notte; quando non può più accedere per il lockdown tanto fa che riesce a farsi ricoverare nella
stessa struttura. Colpito dal Covid, portato in terapia all’ospedale delle Molinette. La moglie, sola, si ammala, deperisce, non mangia più. Le figlie riescono a farla condurre accanto al marito. Lui la vede, toglie la mascherina e le canta una canzone. Presto la moglie si riprende e torna a nutrirsi. “La diretta facebook – ha
fatto sapere Calabresi – ha avuto 180mila spettatori”. Il giornalista scrittore racconta un’altra storia, quella di un ragazzo, Teo, oggi cinquantenne, che realizza il sogno di acquisire un immobile vuoto delle suore per fare una palestra. Che in questi tempi ha dovuto restare chiusa. “Per l’informazione standard e anche per noi assuefatti – ha notato Calabresi – è solo uno dei mille casi della categoria generale palestre chiuse. Succede invece che una assidua frequentatrice novantenne a un certo punto chiama Teo per dirgli che sta morendo… di solitudine. E’finita che Teo ha inventato un corso di ginnastica per anziani a distanza”. E il terzo insegnamento, “che cerco di trasmettere alle mie figlie, è che ogni giorno ti dà un’opportunità, la possibilità di fare qualcosa di speciale, non perché straordinario, ma perché dà un senso al tuo tempo”.
È il momento delle domande inviate via chat. “Come è stata la sua mattina dopo?” (s’intende, dopo il licenziamento.). “Da che cosa ripartire oggi? La persona, la scuola, il lavoro?”. “Come è nata in lei la passione per la fotografia?”. E qui il clima da conversazione in compagnia si fa ancora più avvolgente.
“La prima mattina? Dolorosa. Sparito un mondo, telefono che non squilla più, finita l’adrenalina di un lavoro di 12 e più ore al giorno per 364 giorni all’anno…Ho pensato di fare cose buone. Di ripensare il tempo. Sono andato a trovare a Madrid il mio vecchio amico Roberto, che aveva avuto due ictus. Giovane addetto
all’ambasciata in Cile, durante il golpe di Pinochet, assente l’ambasciatore, si prese la responsabilità di ospitare 700 cileni che sarebbero stati perseguitati e di farli poco alla volta arrivare in Italia con passaporto diplomatico, con la silenziosa, accorta copertura del ministro degli Esteri, Aldo Moro (e qui mi astengo da
ogni paragone). La fotografia? “Mi interessa molto la fotografia giornalistica, perché se ben fatta e di buon livello, è una testimonianza forte e diretta della realtà, degli accadimenti e del vissuto umano”. Come ripartire? “Beh, la prima cosa è il vaccino, così possiamo riaprire scuola, università. E il resto. Ma soprattutto
ripartire facendo memoria di quel che è successo. Abbiamo scoperto che le cose che davamo per ovvie e scontate, o addirittura banali – una stretta di mano, un abbraccio, la coda bagagli all’aeroporto… – sono in realtà eccezionali, ed hanno un valore. Quindi si tratta di essere aperti a scoprirlo: “Coltivare la curiosità di
scoprire le cose, imparare a guardare e osservare, mantenere intatto lo stupore”. Stavolta mi viene in mente don Luigi Giussani, e la sua “formula”: “Vivere intensamente il reale”. E per ultima: “ Un consiglio da dare a noi giovani, perché non perdiamo la speranza?” “Tenere la testa alta e pensare che il futuro non è già
scritto. Scommettere sulle proprie passioni, per avere una vita più fertile. E avere curiosità del mondo “.
Curiosità, il suo vero motore lo definisce. Gli hanno perfino fatto scrivere la definizione di curiosità per un dizionario, tanto lo caratterizza. Grazie, Mario.
SPINGENDO LA NOTTE PIU IN LÀ – “Mamma come hai fatto”. Aveva 25 anni, due figli piccoli e un terzo in arrivo, quando le uccisero il marito, nel 1972, e lei si trovò a tirare avanti da sola con il suo stipendietto da insegnante di religione. “Ho scommesso sulla vita”, fu la risposta che Calabresi riporta nel suo Spingendo la notte più in là. “Mi sono data da fare tutti i giorni, unico antidoto alla depressione, e ho cercato di vaccinarvi dall’accidia, dall’odio, dalla condanna a essere vittime rabbiose” senza cedere alla cultura della morte dei terroristi. Questa fu l’educazione ricevuta dal bambino e dal ragazzo Mario. Per dire
che l’educazione non è un discorso ma, come rilevò Pasolini, la realtà di una persona. “Da mia madre ho imparato tre cose. La prima, che nulla ti è dovuto, ma tra desiderio e realizzazione ci sei di mezzo tu, il tuo impegno e la tua responsabilità. Far fare fatica ai figli è fargli del bene. Fare il sindacalista dei figli con gli insegnanti è rovinarli”. La seconda “è il valore della memoria. Chi ignora o cancella il passato non ha nemmeno gli elementi per pensare il futuro. E neanche il presente”. Calabresi intervistò un signore di 103 anni, un’ora e mezzo di piscina tutte le mattine seguita da ricca colazione: “Quel signore nacque durante la
prima guerra mondiale, ha attraversato il fascismo, la depressione del ’29, la seconda guerra mondiale, la povertà, gli anni di piombo… a lui come faresti a dire che questo che attraversiamo è il peggior momento della storia?”
Chi volesse vedere il video dell’incontro, potrà trovarlo nel canale Youtube di Beltanews Martesana e sulla pagina Facebook del Centro culturale San Mauro