La questione

Vivere nei giorni del virus

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Un uomo fino al mese scorso poteva trascorrere gran parte della sua vita sulla soglia dell’Assoluto, mirando prima di tutto alla coerenza dei propri pensieri e ragionamenti, organizzando la propria settimana e i complicatissimi incastri, facendo scorrere velocemente la vita senza mai soffermarsi a penetrare il Mistero. Come avrebbe detto Thomas Stearns Eliot: “vivendo e in parte vivendo”.
In quest’ultimo mese però siamo diventati improvvisamente la prima notizia del telegiornale. Immani tragedie, guerre, epidemie… fino a poco tempo fa erano notizie di cui parlavamo distrattamente tra una partita di calcetto e un giro al centro commerciale, ora ci toccano da vicino.
Vivere e morire non è in mano nostra. Saperlo è un conto, essere costretti a farci i conti un altro. Lo dice in modo spettacolare e crudo Leopardi in “Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima”:

Tal fosti: or qui sotterra
polve e scheletro sei. Su l’ossa e il fango
immobilmente collocato invano,
muto, mirando dell’eladi il volo,
sta, di memoria solo
e di dolor custode, il simulacro
della scorsa beltà.

Se questa è la condizione umana, cosa possiamo fare? Sottrarci è impossibile, ritornano alla mente i preziosi consigli di Gandalf, il mago della saga Tolkeniana del Signore degli Anelli: “avrei tanto desiderato che tutto ciò non fosse accaduto ai miei giorni” esclamò Frodo, “Anche io” annuì Gandalf, “come d’altronde tutti coloro che vivono questi avvenimenti . Ma non tocca a noi scegliere. Tutto ciò che possiamo decidere è come disporre del tempo che ci è dato”

Potremmo allora stringerci vicini (ovviamente in senso virtuale) e, come tanti sembrano proporre, condividere qualche ricetta di cucina, fare una videochiamata, intonare dal terrazzo un canto e aspettare che passi sussurrando il leitmotiv #andratuttobene… E’ la strada percorsa dagli orfani di Pascoli:

«Suonano a morto? suonano a martello?»
«Forse…» «Ho paura…» «Anch’io». «Credo che tuoni:
come faremo?» «Non lo so, fratello:
stammi vicino: stiamo in pace: buoni».
«Io parlo ancora, se tu sei contento.
Ricordi, quando per la serratura
veniva lume?» «Ed ora il lume è spento».

Ma due ciechi non fanno un vedente. Ci possiamo accontentare di questo? No, i nostri figli non li possiamo ingannare, la morte è una cosa seria. E’ nella natura dell’uomo gridare l’esigenza di un significato ultimo come nel “Canto Notturno” di Leopardi è mirabilmente descritto:

Spesso quand’io ti miro
star così muta in sul deserto piano,
che, in suo giro lontano, al ciel confina;
ovver con la mia greggia
seguirmi viaggiando a mano a mano;
e quando miro in cielo arder le stelle;
dico fra me pensando:
a che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? Che vuol dir questa
Solitudine immensa? Ed io che sono?

Pasolini, nella sua assoluta genialità, citato nel “Volantone di Pasqua” di CL identifica chiaramente il problema:

Manca sempre qualcosa, c’è un vuoto
in ogni mio intuire. Ed è volgare,
questo non essere completo, è volgare,
mai fui così volgare come in questa ansia,
questo “non avere Cristo” – una faccia
che sia strumento di un lavoro non tutto
perduto nel puro intuire in solitudine.

Il nostro Centro Culturale è nato per comunicare a tutti (con la vita, con gesti e parole) l’esperienza che ci è data di vivere in ogni istante nel movimento di Comunione e Liberazione e nella Chiesa, ovvero nell’incontro con Cristo: amici, abbiamo un Padre. Non siamo molecole fluttuanti nel nulla ma “Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati” (Luca 12, 7), possiamo guardare con speranza al futuro, come bambini fra le braccia della madre.

Nulla ci impedisce di essere ciò che siamo e se anche il programma che avevamo immaginato dovrà essere rimandato, continueremo a raccontare quello che ci sta a cuore nelle forme permesse dal tempo che ci è dato di vivere (come i social).
Il faro che ci sta guidando in questa pericolosa traversata è l’articolo di Julian Carron sul Corriere della Sera che invitiamo tutti a leggere.
Auguriamo, ci auguriamo, di vivere questo tempo nell’esperienza pacificante raccontata da don Giussani quando la sua esistenza terrena stava volgendo al termine che accompagna la frase di Pasolini sul volantone di Pasqua di CL:

«Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi?» Nessuna domanda mi ha mai colpito, nella vita, così come questa. Solo Cristo si prende tutto a cuore della mia umanità. Perché quell’Uomo, l’Ebreo Gesù di Nazareth, è morto per noi ed è risuscitato. Quell’Uomo risorto è la Realtà da cui dipende tutta la positività dell’esistenza di ogni uomo. Ogni esperienza terrena, vissuta nello Spirito di Gesù, Risorto da morte, fiorisce nell’Eterno. Questa fioritura non sboccerà solo alla fine del tempo, essa è già iniziata nel crepuscolo della Pasqua. Per cui l’esistenza si esprime, come ultimo ideale, nella mendicanza. Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo.

Centro Culturale di Forlì, “La Bottega dell’orefice” 18 marzo 2020

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