«Il profeta», osserva Flannery O’Connor in Mystery and Manners, «è un realista delle distanze», ossia colui che «non esita a distorcere le apparenze per mostrare una verità nascosta». D’altronde, aggiunge la scrittrice di Savannah, la profezia «non è questione di predire il futuro», ma consiste piuttosto «nel vedere le cose in tutta l’estensione del loro significato e quindi nel vedere in primo piano le cose lontane». Nel corso del XX secolo, Reinhold Niebuhr (1892-1971) mostra i lineamenti inconfondibili che distinguono la figura misteriosa del «realista delle distanze». Il teologo protestante rappresenta il principale esponente dell’agostinismo politico nel Novecento, che mostra il fecondo rapporto tra cristianesimo e Relazioni Internazionali. Inoltre, egli aiuta i propri contemporanei a vedere in primo piano le cose lontane, a scorgere la politica internazionale in tutta l’estensione del suo significato.
Tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta, senza alcuna intenzione di prevedere o anticipare il futuro, Niebuhr sviluppa il «realismo cristiano». Un approccio che, non cedendo all’opposto rischio del cinismo o dell’utopia, esprime una concezione della natura umana, della politica e della storia che vuole testimoniare l’urgenza della moderazione e della responsabilità nell’esercizio del potere, oltre che la necessità del controllo morale della dimensione politica all’interno di un mondo imperfetto.
A più di quattro decadi di distanza dalla sua morte, il pensiero di Niebuhr risulta ancora attuale, proprio perché egli mostra e promuove uno sguardo critico sulla realtà politica in grado di offrire un utile contributo alla comprensione delle trasformazioni e all’analisi delle dinamiche internazionali del sistema globale contemporaneo.