Esce oggi il nuovo libro del Papa. La figura di Maria, il contesto storico, la notte di Natale, l’incontro con i dottori del Tempio… Ecco alcuni brani da “L’infanzia di Gesù” (Rizzoli, 2012).
«Colei in cui avviene un nuovo inizio»
Maria che, in realtà, è un nuovo inizio e relativizza l’intera genealogia. Attraverso tutte le generazioni, tale genealogia [il Papa sta parlando di quella descritta da Matteo nel suo vangelo] aveva proceduto secondo lo schema: «Abramo generò Isacco…». Ma alla fine compare una cosa ben diversa. Riguardo a Gesù non si parla più di generazione, ma si dice: «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo» (Mt 1,16). Nel successivo racconto della nascita di Gesù, Matteo ci dice che Giuseppe non era il padre di Gesù e che egli intendeva ripudiare Maria in segreto a causa del presunto adulterio. E allora gli viene detto: «Ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo» (Mt 1,20). Così, l’ultima frase dà una nuova impostazione dell’intera genealogia. Maria è un nuovo inizio. Il suo bambino non proviene da alcun uomo, ma è una nuova creazione, è stato concepito per opera dello Spirito Santo. La genealogia rimane importante: Giuseppe è giuridicamente il padre di Gesù. Mediante lui, Egli appartiene secondo la Legge, «legalmente», alla tribù di Davide. E tuttavia viene da altrove, «dall’alto» – da Dio stesso. Il mistero del «di dove», della duplice origine, ci viene incontro in modo molto concreto: la sua origine è determinabile e, tuttavia, è un mistero. Solo Dio è nel senso proprio il «Padre» suo. La genealogia degli uomini ha la sua importanza riguardo alla storia del mondo. E, ciononostante, alla fine è Maria, l’umile vergine di Nazaret, colei in cui avviene un nuovo inizio, ricomincia in modo nuovo l’essere persona umana.
Dal capitolo 1, «Di dove sei tu?» (Gv 19,9), pp 15-16
«Avvenga per me secondo la tua parola»
Bernardo di Chiaravalle, in una sua omelia di Avvento, ha illustrato in modo drammatico l’aspetto emozionante di questo momento. Dopo il fallimento dei progenitori, tutto il mondo è oscurato, sotto il dominio della morte. Ora Dio cerca un nuovo ingresso nel mondo. Bussa alla porta di Maria. Ha bisogno della libertà umana. Non può redimere l’uomo, creato libero, senza un libero «sì» alla sua volontà. Creando la libertà, Dio, in un certo modo, si è reso dipendente dall’uomo. Il suo potere è legato al «sì» non forzato di una persona umana. Così Bernardo mostra come, nel momento della domanda a Maria, il cielo e la terra, per così dire, trattengono il respiro. Dirà «sì»? Lei indugia… Forse la sua umiltà le sarà d’ostacolo? Per questa sola volta – le dice Bernardo – non essere umile, bensì magnanima! Dacci il tuo «sì»! È questo il momento decisivo, in cui dalle sue labbra, dal suo cuore esce la risposta: «Avvenga per me secondo la tua parola». È il momento dell’obbedienza libera, umile e insieme magnanima, nella quale si realizza la decisione più elevata della libertà umana. Maria diventa madre mediante il suo «sì». I Padri della Chiesa a volte hanno espresso tutto ciò dicendo che Maria avrebbe concepito mediante l’orecchio – e cioè: mediante il suo ascolto. Attraverso la sua obbedienza, la Parola è entrata in lei e in lei è diventata feconda. In questo contesto, i Padri hanno sviluppato l’idea della nascita di Dio in noi attraverso la fede e il Battesimo, mediante i quali sempre di nuovo il Logos viene a noi, rendendoci figli di Dio. Pensiamo, per esempio, alle parole di sant’Ireneo: «Come l’uomo passerà in Dio, se Dio non è passato nell’uomo? Come abbandoneranno la nascita per la morte, se non saranno rigenerati mediante la fede in una nuova nascita, donata in modo meraviglioso ed inaspettato da Dio, nella nascita dalla Vergine, quale segno della salvezza?» (Adv. haer. IV 33, 4; cfr. H. Rahner, Symbole der Kirche, p. 23).
Dal capitolo 2, L’annuncio della nascita di Giovanni Battista e della nascita di Gesù, pp. 46-47
«Nel quadro della grande storia universale»
«In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra» (Lc 2,1). Con queste parole Luca introduce il suo racconto sulla nascita di Gesù e spiega perché essa è avvenuta a Betlemme: un censimento con lo scopo di determinare e poi riscuotere le imposte è la ragione per cui Giuseppe con Maria, sua sposa, che è incinta, vanno da Nazaret a Betlemme. La nascita di Gesù nella città di Davide si colloca nel quadro della grande storia universale, anche se l’imperatore non sa nulla del fatto che questa gente semplice, a causa sua, è in viaggio in un momento difficile e così, apparentemente per caso, il bambino Gesù nascerà nel luogo della promessa. Per Luca il contesto storico-universale è importante. Per la prima volta viene registrata «tutta la terra», l’«ecumene» nel suo insieme. Per la prima volta esiste un governo e un regno che abbraccia l’orbe. Per la prima volta esiste una grande area pacificata, in cui i beni di tutti possono essere registrati e messi al servizio della comunità. Solo in questo momento, in cui esiste una comunione di diritti e di beni su larga scala e una lingua universale permette ad una comunità culturale l’intesa nel pensiero e nell’agire, un messaggio universale di salvezza, un universale portatore di salvezza può entrare nel mondo: è, difatti, «la pienezza dei tempi».
Dal capitolo 3, La nascita di Gesù a Betlemme, pp. 71-72
«Un cantare, in cui tutto lo splendore della grande gioia annunciata si fa percettibilmente presente»
L’angelo del Signore si presenta ai pastori e la gloria del Signore li avvolge di luce. «Essi furono presi da grande timore» (Lc 2,9). L’angelo, però, dissipa il loro timore e annuncia loro «una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10s). Viene loro detto che, come segno, avrebbero trovato un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia. «E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini del [suo] compiacimento”» (Lc 2,12-14). L’evangelista dice che gli angeli «parlano». Ma per i cristiani era chiaro fin dall’inizio che il parlare degli angeli è un cantare, in cui tutto lo splendore della grande gioia da loro annunciata si fa percettibilmente presente. E così, da quell’ora in poi, il canto di lode degli angeli non è mai più cessato. Continua attraverso i secoli in sempre nuove forme e nella celebrazione del Natale di Gesù risuona sempre in modo nuovo. Si può ben comprendere che il semplice popolo dei credenti abbia poi sentito cantare anche i pastori, e, fino ad oggi, nella Notte Santa, si unisca alle loro melodie, esprimendo col canto la grande gioia che da allora sino alla fine dei tempi a tutti è donata.
Dal capitolo 3, La nascita di Gesù a Betlemme, pp. 87-88
«L’uomo assunto da Dio vale più dell’universo intero»
Nel mondo antico, i corpi celesti erano guardati come potenze divine che decidevano del destino degli uomini. I pianeti portano nomi di divinità. Secondo l’opinione di allora, essi dominavano in qualche modo il mondo, e l’uomo doveva cercare di venire a patti con queste potenze. La fede nell’unico Dio, testimoniata dalla Bibbia, ha qui operato ben presto una demitizzazione, quando il racconto della creazione, con magnifica sobrietà, chiama il sole e la luna – le grandi divinità del mondo pagano – «lampade» che Dio, insieme con tutta la schiera delle stelle, appende alla volta celeste (cfr. Gen 1,16s). Entrando nel mondo pagano, la fede cristiana doveva nuovamente affrontare la questione delle divinità astrali. Per questo, nelle Lettere dalla prigionia agli Efesini e ai Colossesi, Paolo ha fortemente insistito sul fatto che il Cristo risorto ha vinto ogni Principato e Potenza dell’aria e domina tutto l’universo. In questa linea sta anche il racconto della stella dei Magi: non è la stella a determinare il destino del Bambino, ma il Bambino guida la stella. Volendo, si può parlare di una specie di svolta antropologica: l’uomo assunto da Dio – come qui si mostra nel Figlio unigenito – è più grande di tutte le potenze del mondo materiale e vale più dell’universo intero.
Dal capitolo 4, I Magi d’Oriente e la fuga in Egitto, pp. 118-119
«L’obbedienza che condurrà alla Croce e alla Risurrezione»
Ma come? Mi avete cercato? Non sapevate dove deve essere un figlio? Che cioè deve trovarsi nella casa del Padre, «nelle cose del Padre» (Lc 2,49)? Gesù dice ai genitori: mi trovo proprio là dove è il mio posto – presso il Padre, nella sua casa. In questa risposta sono importanti soprattutto due cose. Maria aveva detto: «Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Gesù la corregge: io sono presso il Padre. Non è Giuseppe mio padre, ma un Altro – Dio stesso. A Lui appartengo, presso di Lui mi trovo. Può forse essere espressa più chiaramente la figliolanza divina di Gesù? Con ciò è direttamente connessa la seconda cosa. Gesù parla di un «dovere» al quale Egli si attiene. Il figlio, il bambino deve essere presso il padre. La parola greca deî, che Luca qui usa, ritorna sempre nei Vangeli là dove viene presentata la disposizione della volontà di Dio, alla quale Gesù è sottomesso. Egli «deve» soffrire molto, essere rifiutato, venire ucciso e risorgere, come dice ai discepoli dopo la professione di Pietro (cfr. Mc 8,31). Questo «deve» vale già anche in questo momento iniziale. Egli deve essere presso il Padre, e così diventa chiaro che ciò che appare come disobbedienza o come libertà sconveniente nei confronti dei genitori, in realtà, è proprio espressione della sua obbedienza filiale. Egli è nel Tempio non come ribelle contro i genitori, bensì proprio come Colui che obbedisce, con la stessa obbedienza che condurrà alla Croce e alla Risurrezione.
Dall’epilogo, Gesù dodicenne nel Tempio, pp. 143-144
«A tu per tu col Padre, egli vive alla sua presenza»
Da una parte, nella risposta del dodicenne si è reso evidente che Egli conosce il Padre – Dio – dal di dentro. Egli solo conosce Dio, non soltanto attraverso persone umane che lo testimoniano, ma Egli lo riconosce in se stesso. Come Figlio, Egli sta a tu per tu con il Padre. Vive alla sua presenza. Lo vede. Giovanni dice che Egli è l’Unico che «è nel seno del Padre» e perciò può rivelarlo (Gv 1,18). È proprio ciò che diventa evidente nella risposta del dodicenne: Egli è presso il Padre, vede le cose e gli uomini nella sua luce. Tuttavia è anche vero che la sua sapienza cresce. In quanto uomo, Egli non vive in un’astratta onniscienza, ma è radicato in una storia concreta, in un luogo e in un tempo, nelle varie fasi della vita umana, e da ciò riceve la forma concreta del suo sapere. Così appare qui, in modo molto chiaro, che Egli ha pensato ed imparato in maniera umana. Diventa realmente chiaro che Egli è vero uomo e vero Dio, come s’esprime la fede della Chiesa. Il profondo intreccio tra l’una e l’altra dimensione, in ultima analisi, non lo possiamo definire. Rimane un mistero e, tuttavia, appare in modo molto concreto nella breve narrazione sul dodicenne – una narrazione che così apre al tempo stesso la porta verso il tutto della sua figura, che poi ci viene raccontato dai Vangeli.
Dall’epilogo, Gesù dodicenne nel Tempio, pp. 146-147