Biassono (MB): I sogni di segreti di Walter Mitty
Il Centro Culturale Don Ettore Passamonti è tra gli organizzatori del cineforum “Quando la realtà risveglia il desiderio, inizia un cammino”. Quattro viaggi, quattro storie diverse che narrano di uomini ridestati da incontri, alla ricerca di un compimento.
Il primo appuntamento è con “I sogni segreti di Walter Mitty” di Ben Stiller (USA, 2013).
Recensione a cura di Antonio Autieri, Sentieri del Cinema.
Walter Mitty è il responsabile dell’archivio di Life, storico rotocalco famoso per i suoi reportage fotografici a un passo dalla chiusura. Una fusione aziendale e nuovi manager senza scrupoli, con sorrisini falsi e sciocchi, preludono alla trasformazione del giornale in sito Internet: per tanti giornalisti e impiegati è vicino il licenziamento. Walter non sembra preoccuparsene, preso dalle sue “assenze”, sogni in cui si immagina a compiere imprese eroiche o a saper reagire alle angherie del prepotente di turno (vedere cosa fa, o vorrebbe fare, al nuovo capo…). Sogni spesso legati a Cheryl, nuova (e carina) collega precaria, a forte rischio di essere tra quelli che perderanno il lavoro. Certo lo perderà Walter, se non troverà il prezioso fotogramma numero 25, il pezzo più pregiato di un reportage consegnato a Life, e anzi direttamente a Mitty, dal celebre fotoreporter Sean O’Connelly che in tanti anni ha saputo, a distanza, apprezzare il suo lavoro appassionato capace di valorizzare i propri scatti. Tra le foto regalate, il consiglio è di usare appunto la 25 per la copertina dell’ultimo numero: solo che quella fotografia non si trova più. A Walter non è mai successo in tutta la sua carriera. Per ritrovarla è disposto a cercare il fotografo, dalla vita misteriosa ed errabonda, in giro per il mondo. Solo che deve decidere di seguire, per una volta, il motto di Life (“Vedere il mondo, attraversare i pericoli, guardare oltre i muri…”), e sfidare le proprie paure. Magari incoraggiato dalla “visione” di Cheryl che lo spinge a buttarsi. Per riscoprirsi diverso da come si è sempre pensato.
Dopo troppi anni di commedie sempre più prevedibili, Ben Stiller torna sui suoi passi, da interprete prima ancora che da regista (ruolo in cui firmò a inizio anni 90 l’acerbo Giovani Carini e Disoccupati, pure all’epoca diventato un piccolo cult, e i più interessanti Zoolander e Tropic Thunder), con un film che non è un semplice remake di Sogni proibiti con Danny Kaye (anche nel classico di Norman McLeod il protagonista si chiama Walter Mitty e sogna ad occhi aperti) ma un film che parte dall’ispirazione comune con il racconto di James Thurber The Secret Life of Walter Mitty (titolo originale del film del 1947) mixandola con debiti più personali, come la sua esperienza con Wes Anderson nel memorabile I Tenenbaum. Di quel film, e dello stile di Anderson, il quinto film da regista di Stiller sembra un parente stretto, meno geniale e personale ma comunque con una sua grazia e una capacità di raccontare sogni e fantasie che rischiano di far perdere il senso della realtà al povero Walter Mitty e, in generale, di disegnare la parabola fatta di tic, manie di grandezze e fobie di un uomo qualunque che aspira a cose grandi. E che, una volta avuta l’occasione, butterà il cuore oltre l’ostacolo. Ci sono incongruenze nella storia, soprattutto nella parte finale quando il “giallo” si scioglie. Ma in un film giocato sui paradossi, i sogni ad occhi aperti e le avventure straordinarie ci sembra il meno. Soprattutto a fronte di tante scene memorabili: i già citati sogni a occhi aperti con le imprese impossibili, la corsa verso l’avventura tra l’ufficio e l’aeroporto, la scelta dell’auto a noleggio in Groenlandia, l’apparizione di Cheryl che gli canta “Space Oddity” di David Bowie (anche se nel film la chiamano “Major Tom”, protagonista della canzone) e lo convince a prendere un elicottero al volo in condizioni improbabili e tante altre. Tutte contrassegnate dalla faccia buffa e tragicomica di Stiller, perfetto nella parte, spalleggiato dalla dolce Kristen Wiig e da un cast in cui spiccano l’odioso capo Adam Scott, la mitica Shirley MacLaine nei panni della madre, e in un cameo il rotondo Patton Oswalt (simpatico il tormentone dell’impiegato del social network che chiama Walter quando meno se lo aspetta),
E poi il film chiude come una bella commedia hollywoodiana dovrebbe chiudere sempre. Cioè bene, con un respiro grande, all’altezza della storia raccontata. Così, dopo un inizio molto promettente e una parte centrale che si incarta un po’ – proprio quando inizia il viaggio, fino all’incontro con il fotografo (uno Sean Penn gigione ma affascinante), che pure gli insegna ad apprezzare il “qui e ora” – anche per un minor uso della fantasia che a quel punto ha meno ragion d’essere, il finale potrà apparire forse retorico ma a noi sembra alquanto emozionante. E forse lo diciamo perché a noi “penne” della carta stampata, per quanto già protese sui nuovi media, quell’epilogo tocca il cuore, parla di noi e della nostra storia (del nostro futuro, probabilmente). Ma forse dice qualcosa a chiunque viva questa tumultuosa, confusa epoca di crisi e di trasformazione: che non si può guardare al nuovo senza rispetto per chi ha “servito” il vecchio. E che si può e si deve guardare con ammirazione, e magari imparare, da chi ha messo amore anche nei più piccoli dettagli di un lavoro oscuro quanto prezioso.
Trailer del film