Grosseto: Nel cuore di Aleppo

La Diocesi di Grosseto ha organizzato l’incontro “Nel cuore di Aleppo”, la testimonianza di padre Ibrahim Alsabach, parroco della comunità latina di Aleppo.
Cronaca dell’incontro
Scriveva Oscar Wilde: “Le sole persone con le quali ora mi interesserebbe di trovarmi sono gli artisti e coloro che hanno sofferto: quelli che sanno cosa sia la bellezza, e quelli che sanno cosa sia il dolore: nessun altro mi interessa”.
Può però capitare qualcosa di più, di incontrare cioè chi ci faccia scoprire tracce della bellezza pur dentro il dolore, e può succedere di incontrare, per grazia, un paio di loro a distanza molto ravvicinata.
E’ quello che è accaduto a Grosseto in questi giorni in due momenti di incontro con la Diocesi e con le scuole paritarie.
Il primo è l’incontro con fra Ibrahim Alsabagh parroco di Aleppo, città simbolo di quella che il Papa ha definito la terza guerra mondiale a pezzi, il secondo è quello con don Ernst Simoni, sacerdote albanese che ha pagato con 28 anni di carcere, torture e lavori forzati la sua fede in Gesù.
Due testimonianze da tempi e contesti diversi con un unico contenuto: non esiste condizione in cui l’uomo non possa essere oggetto e strumento della Misericordia di Dio.
Così Don Ernst, che ha vissuto 28 anni in prigione e ai lavori forzati ci ha detto di come il suo ministero si sia imprevedibilmente svolto nel carcere, nella miniera e nelle fogne (le sue parrocchie, dice lui) di Scutari. Lui a cui era stato vietato dal regime di vivere la sua fede e il suo sacerdozio è stato misteriosamente lo strumento dell’amore di Dio che si è infiltrato fin negli anfratti più bui e più sudici, nel primo Paese ad aver dichiarato nella costituzione l’ateismo di Stato. Don Ernst è riuscito a celebrare la Ss. Messa quasi tutti i giorni, salvando briciole di pane e spremendo qualche acino d’uva. Nella sua cella aveva scritto: La mia vita è Gesù. Gli abbiamo chiesto: cosa le ha permesso di non cedere e di non rinnegare la sua fede. Ha risposto asciutto: Gesù ci ha promesso di essere con noi fino alla fine dei tempi e che per seguirlo sarebbe stato necessario caricarsi della sua croce. E il regime, vedendo che non si piegava gli revocò la condanna a morte. Così don Ernst è sopravvissuto, martire vivente lo ha definito Papa Francesco, per testimoniare a noi oggi che non esiste condizione in cui l’uomo non possa scegliere di seguire ciò che ama e di perdonare il male ricevuto.
Nemmeno sotto le bombe della Siria, come ci ha raccontato Fra Ibrahim. Anche lì, sul confine con i Jihadisti è possibile scorgere i segni delle Resurrezione di Gesù, in un precedente incontro li definì i fiori di Aleppo. Non cose da visionari, ma segni tangibili di un amore più grande in grado di resistere alla distruzione più impensata.
Segni della presenza di Cristo anche tra le macerie, segni che permetto un attaccamento e un’apertura all’uomo, prima sconosciuti. In questo modo la presenza dei francescani ad Aleppo è diventata un punto di riferimento per tanti, cristiani e non. Segni che non fanno sentire abbandonati e che fanno nascere la domanda: ma chi ve lo fa fare di restare e di aiutare noi che siamo diversi da voi? Torna sempre la stessa domanda, in Siria come in Albania: perché lo fai (chi te lo fa fare)? La stessa domanda che nasce all’inizio delle grandi storie d’amore quando si intuisce uno sguardo gratuito e immeritato su di noi: perché fai tutto questo per me?
Nei pressi di Durazzo, in Albania, tra i campi ridistribuiti dal regime al popolo durante la collettivizzazione delle terre, ce n’era uno particolare. Mentre tutti gli altri erano coltivati, questo aveva al suo interno uno spiazzo falciato ma non lavorato. Era un luogo dove la gente si recava, magari di nascosto, lasciando qualcosa. Un tempo lì c’era una chiesa paleocristiana ed oggi alcuni amici ne stanno costruendo una nuova. Era una delle tante chiese rase al suolo dalla dittatura nel tentativo di cancellare Dio dal profondo dell’uomo. Un tentativo inutile, come ci hanno testimoniato questi due giganti del nostro tempo che sarà sempre destinato a rimanere senza un successo finale. Perché il male, attraverso la violenza, cambia il paesaggio, il cuore di Cristo, attraverso i suoi, cambia la storia.
(Alessandro Vergni)