Napoli: Il miracolo della Speranza

Guida all'ascolto dello Stabat Mater


Il Centro Culturale “Neapolis” ha organizzato “Il miracolo della Speranza”, guida all’ascolto dello Stabat Materdi G.B. Pergolesi con Pier Paolo Bellini.

“Ascoltare lo Stabat Mater di Pergolesi è raccontare di una morte, toccare il fondo; e poi, alla fine, si apre quello che Montale definiva un “malchiuso portone”, la speranza; ma al fondo bisogna arrivarci”.
Così Pier Paolo Bellini, docente di Scienze umanistiche, sociali e della formazione dell’Università del Molise, ha introdotto, in un incontro del Centro Culturale Neapolis presso la Chiesa di Santa Maria Donnaromita, la guida all’ascolto del celebre inno, da lui già curata nel primo volume della collana Spirto Gentil, fondata da don Luigi Giussani.

Nella vita del compositore marchigiano, Napoli rivestì un ruolo fondamentale e proprio al termine di una lunga storia di lutti, che lo vide perdere tutti i suoi familiari. Grazie a una colletta dei concittadini jesini, egli poté studiare nella città campana, presso il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, cuore della grande scuola musicale che fiorì tra ’600 e ’700. Trasferitosi nella più salubre Pozzuoli per curare la tubercolosi, egli vi trovò la morte, a soli 26 anni, nel 1736, subito dopo aver messo in musica la straordinaria sequenza di Jacopone da Todi, commissionatagli dall’Arciconfraternita dei Cavalieri della Vergine dei Dolori.

“A 300 anni di distanza – ha osservato il relatore – possiamo ascoltare lo Stabat Mater con una capacità di condivisione straordinaria: per questo lo definisco un ‘vangelo per i poveri’, cioè per i ‘semplici’, proprio come il parlare di Gesù”.

Nella prima parte del componimento l’autore sembra voler comunicare al pubblico il dolore che, provato da Cristo in morte, era anche suo in quel periodo, ma è, ogni giorno, della vita dell’uomo.

“Nella prima terzina sia l’orchestra che le voci femminili entrano in dissonanza, estranea alla musica dell’epoca. Lo strazio così espresso – ha spiegato Bellini – sembra tradotto da Pergolesi, vero pittore in musica, nella partitura: la croce, la lacrima, la sospensione del dum che traduce quella della madre”.

Mirabilmente, la seconda terzina è costruita su salti melodici che riproducono la fatica della salita al Golgota e il finale crollo, e poi, tra trilli e rallentamenti, i colpi di spada.

Segue un vero “fumetto musicale: le due voci cantano insieme quella che sembra una marcia funebre; ma all’immenso dolore presente fa seguito il soave ricordo della Visitazione di Elisabetta. E il contrasto si ripete ed esalta tra l’iconica figura della Mater e il lieve colpo di pennello delle biscrome, che, su Unigeniti, rievocano il Natale”.

Le tre terzine del brano successivo creano una “sacra rappresentazione”. Le due domande delle donne recantesi al Calvario sono uguali e collegate dall’anafora di Quis, e hanno identica risposta, che nessuno potrebbe restare impassibile di fronte al dolore della madre di Cristo. Ma un cambio totale di musica, dall’andamento riflessivo a quello violento, sottolinea che, proprio per l’indifferenza e i peccati dell’umanità, Egli muore.

“L’opera giunge così al suo apice – ha illustrato il relatore –. Nel testo, Jacopone accosta, terribilmente, l’immagine del bambino dulcem natum a quella del morientem desolatum e la musica sembra tradurre il passo faticoso e i tentativi di rialzarsi dell’agonizzante. Essi culminano in un sublime ‘errore’, una pausa tra le sillabe iniziali di emisit, che fa sentire l’ultimo respiro del moribondo. A nulla valgono i successivi acutissimi bemolle: siamo al fondo, e Pergolesi scrive per cantanti e strumenti il suggerimento ‘perdendosi’”.

Un’altra nota del compositore, “sottovoce”, segna gli ultimi movimenti dell’orchestra, a singhiozzo, quasi a rendere lo sgomento dell’umanità per aver ucciso Dio.

Ma nella seconda parte dello Stabat Mater, la storia continua, con la forza della Resurrezione. “Non a caso – ha spiegato Bellini – Jacopone, in tutta la prima parte, usa verbi al passato, mentre la seconda inizia con un imperativo presente, fac, perché quella storia continua adesso”.

Nella prima terzina le due voci intonano un iubilus, canto gregoriano perfetto per comunicare, come diceva Sant’Agostino, una gioia tale che non si esprime in parole, ma solo in suoni.

Nell’ultimo brano la storia giunge a compimento: il tempo diviene futuro, in cui una voce chiede a Cristo, con umilissima intensità, di vivere ciò che ha vissuto Lui, per vedere la gloria del Paradiso.

“Il componimento – ha sottolineato il relatore – si chiude con un Amen che Pergolesi impone sia detto “presto fugato forte”, come percezione di una certezza inspiegabile, come se fosse una parola ancora più definitiva della nostra capacità di credere. Che un funerale si possa chiudere così – ha concluso – è una cosa non razionalmente descrivibile. Ecco perché, quando abbiamo preparato la prima uscita di Spirto Gentil, è stato per me immediato sentir riecheggiare nello Stabat Mater un giudizio di don Giussani: “Soltanto Cristo toglie questo limite, soltanto Cristo ti salva il rapporto con il padre e la madre, ti salva il rapporto con il ragazzo che ami, ti salva il rapporto con la verità che emerge dal tuo sguardo curioso sulle cose, ti salva la vita che freme in te, il gusto di te stesso, l’amore a te stesso”.
(Valentina Caruso, www.frammentidipace.it)



Data

Giovedì 22 Marzo 2018 ore 18:30

Luogo

Chiesa di Donna Romita, via Paladino 50, Napoli