Padova: Di.Segno riotrovato
DISEGNO RITROVATO – Una comunicazione affettiva. Inaugurazione: mercoledi 28 marzo ore 18.00 con la partecipazione di Giovanni Gentili, curatore di mostre
La mostra espone le opere del gruppo di artisti che ha seguito gli stages sul disegno proposti dall’Associazione dal 2003 e documenta i punti di svolta di una esperienza che, partendo da diversi aspetti del disegno e dall’esempio dei maestri della pittura, ha sviluppato un metodo che dà origine ad un nuovo divedere. Esso si sostanzia in un percorso proposto dentro una compagnia guidata a partire da un particolare tema. Ispirato inizialmente dalla lettura di San Bonaventura, il metodo indica una strada (itinerarium) della conoscenza(mentis) per raggiungere il significato delle cose e la vera creazione (inDeum) identificando tre momenti specifici. Nel primo si osservano le cose per sorprenderne la forma e la misura. Nel secondo ci si confronta con l’io tramite la scintilla creativa personale. Nel terzo momento si riconosce l’essenza delle cose osservate con uno sguardo nuovo attraverso la coscienza di Chi le fa. La serie di opere esposte illustra ed esemplifica i vari passaggi di questo metod omostrandone i risultati ottenuti. Con questa mostra vorremmo contribuire all’incontro tra gli universi che convivono a Padova e favorire la fruizione del bello per le giovani generazioni.
SCHEDA DELLA MOSTRA DI.SEGNO RITROVATO –
Il primo passo: la misura. Guardando gli esempi dei grandi maestri ci siamo chiesti: come sono stati possibili i risultati del disegno classico? Le ragioni sono molte ma spiccano su tutte la passione per l’uomo e la realtà concreta ed il metodo dell’osservazione e della misura. Dunque la prima risposta è che per conoscere bisogna misurare ed osservare bene. Da qui il primo esercizio: conoscere il soggetto attraverso le misure classiche. per cui dopo aver osservato l’esempio dei maestri si è cercato di copiare il modello reale riconoscendone le misure e le proporzioni. Dunque in questo primo passaggio la misura è lo scopo con cui si guarda il soggetto, la cerchiamo al suo interno. La linea è una traccia della realtà che vediamo e la nostra capacità è di osservare bene e senza fretta ma utilizzando tutto il tempo necessario.
Il secondo passo: la mia osservazione. Ma il nostro io cambia la visione, diciamo così, fotografica della realtà. Attraverso il nostro sguardo l’immagine è il risultato di una sintesi che conduce a forme nuove adattate alle diverse esigenze espressive. Ne sono prova gli innumerevoli ritratti eseguiti dai più grandi maestri, esempi che sono proposti dal periodo rinascimentale sino ad oggi come spunto per un lavoro personale. Si lascia libero campo alla propria visione del modello. Le consegne sono state dunque di porsi davanti al modello, fare uno schizzo iniziale e proseguire con il lavoro utilizzando la propria esperienza grafica o pittorica. In questo è illuminante una frase di Lucien Freud. “Il pittore deve dare libero corso a tutti i sentimenti e a tutte le sensazioni che gli capita di provare e non rifiutare nulla da cui sia naturalmente attratto”. Come nella corrente espressionista in Schiele e Kokoschka.
Terzo passo: il Disegno di una Presenza. Dopo aver trattato il soggetto come spunto per la propria creatività si pone il dato della sua presenza. Come da una citazione di Martin Heidegger “l’esperienza è la modalità propria dell’esser-presente” s’inizia a guardare il volto del soggetto non come un pretesto ma come una persona o una cosa reale, l’incontro con una alterità che non è una forma vuota ma è, appunto, una “presenza”. In questo ci è di riferimento l’esperienza di Alberto Giacometti il quale, passato dalle più aggiornate esperienze di avanguardia, riduce il problema al ritratto passando il resto della sua vita a lottare con questo modello che si ripresentava sempre nuovo e diverso, arrivando a questa sorprendente dichiarazione: “ma ho l’impressione, o l’illusione, di fare dei progressi ogni giorno. È questo a farmi andare avanti, come se dovessi proprio riuscire a cogliere il nucleo della vita.”
I temi: un aiuto all’osservazione.
Nei nostri corsi abbiamo sempre affrontato dei temi specifici come aiuto ad osservare meglio e ad applicare il metodo in modo più preciso. La scelta è sempre desunta dal particolare significato che questi temi ed i soggetti a loro riferiti ci hanno suggerito. Inoltre ci aiutano ad approfondire nel confronto fra le opere eseguite la forza di segno che essi portano.
La mano: il soggetto del nostro fare. La “nostra” mano ci ha servito fedelmente ed essa esprime la nostra volontà. Prende, accarezza, stringe, conduce, indica. La conosciamo bene ma la guardiamo raramente: questa abbiamo copiato. La sua apparente complessità ci spinge a guardare meglio il soggetto a vederne le forme, i pieni ed i vuoti, il movimento e le proporzioni.
Il ritratto e l’autoritratto: la forma dell’io. Il nostro volto, il volto di un tu che mi guarda. Sono io che mi guardo, mi riconosco? Sono proprio io quello lì sullo specchio? Oppure: quella persona che ho davanti mi interpella, il suo volto si scopre a poco a poco come un muto colloquio. La sua complessità nelle proporzioni e nei particolari, la sua espressione singolare ci rivelano una profondità che prima non conoscevamo. Ci fanno conoscere e ci rendono presente una bellezza nuova.
Still life: la vita delle cose. Ogni cosa dal panneggio all’astuccio, dalla foglia al sasso se bene osservata ci mostra una vita nascosta. L’applicarsi a questi soggetti ci spinge a superare la banalità con cui guardiamo la realtà e oltre a capirne proporzioni e forme cominciamo a intuirne la profondità. Esse sono ferme e pazientemente subiscono il nostro sguardo sino a che si rivelano a poco a poco nel nostro segno. Scopriamo che ci riguardano e che acquistano una vita particolare
Il paesaggio: l’imponenza della creazione. Il mio sguardo su ciò che mi circonda. Il paesaggio non lo posso prendere poiché è troppo complesso ed immenso ma posso cominciare a coglierlo con il mio sguardo attento. Soprattutto imparo a connettere i tanti particolari ad uno schema o ad una struttura che mi aiuti ad ordinare la complessità tanto da sorprenderne l’armonia nascosta. E dopo questa scoperta cominci a volerle bene, ad amarne la bellezza nascosta. Come dice Giovanni Testori: “Credo che ci sia un indirizzo infallibile: non sbaglierà, nonostante gli errori, chi avrà voluto bene alla realtà, ossia alla Creazione. … Amando la realtà, ci sei dentro, ci vivi già dentro, e abbracci il tuo tema…”
La sfida dell’applicazione di un metodo. L’entusiasmo per l’applicazione del metodo ha generato il desiderio di continuare una strada che si era scoperta. Si è voluto insomma che la sorpresa di un metodo nuovo non finisse. Perciò si è lanciata la sfida di continuare su altri soggetti e con altri incontri questo modo di disegnare, per poi ritrovarci e vederne i risultati. La sfida, dunque, è l’applicazione di un metodo, il proposito arduo che ci fa scoprire come “ogni cosa è incredibilmente nuova”. Non sappiamo dove questa storia ci porterà ma possiamo sin d’ora affermare che la partecipazione ad essa ha già cambiato in molti il modo di vedere e considerare la realtà attraverso il disegno.
“Ogni opera d’arte è creata completamente per niente. Tutto questo tempo passato, tutti questi geni, tutto questo lavoro, infine, sul piano dell’assoluto, per niente. Se non fosse questa sensazione immediata nel presente che si prova tentando di cogliere la realtà. E l’avventura, la grande avventura, consiste nel veder sorgere qualcosa di ignoto ogni giorno, nello stesso volto: è più grande di qualsiasi viaggio intorno al mondo”. Alberto Giacometti