Verona: Perché diventavano cristiani e perché esserlo oggi?

Incontro con mons. Francesco Braschi e mons. Giancarlo Grandis


Il Centro di Cultura Europea “Sant’Adalberto”, con il sostegno della Fondazione “Giorgio Zanotto” ed in collaborazione con il Progetto Culturale della Diocesi di Verona e l’Istituto “Alle Stimate”, hanno organizzato la conferenza dal titolo “Perché diventavano cristiani e perché esserlo oggi?”, per presentare il libro di G. Bardy La conversione al cristianesimo nei primi secoli (Jaka Book – 2002).
Il periodo storico che stiamo vivendo si presta a facili analogie con gli anni che videro la nascita del Cristianesimo: oggi come allora viviamo in una società fortemente plurale in cui le evidenze più elementari sembrano non essere più sostenute ed accolte, un mondo che fronteggia gravi crisi, dalle guerre al conseguente spostamento di grosse masse di uomini, una contesto che rivede il perpetrarsi sempre più violento delle persecuzioni religiose, in modo particolare contro i cristiani.
L’incontro ha inteso perciò cercare di comprendere, attraverso gli spunti offerti dal libro, come i cristiani oggi possano farsi testimoni di quella corrispondenza provata con il desiderio di verità, di libertà, di giustizia che segna da sempre il cuore dell’uomo e che può avere una risonanza particolare ai nostri giorni come l’ebbe nel mondo greco-romano.
(Centro di Cultura Europea “Sant’Adalberto”)

Sono intervenuti

mons. Francesco Braschi, dottore della Biblioteca Ambrosiana

mons. Giancarlo Grandis, professore di Teologia Morale allo Studio Teologico San Zeno

Ha introdotto
Carlo Bortolozzo, presidente del Centro di Cultura Europea “Sant’Adalberto”

Cronaca dell’incontro
“All’inizio dell’essere cristiano c’è l’incontro con una Persona”
Presentare il libro di Gustave Bardy, “La conversione al cristianesimo nei primi secoli” come provocazione più che mai attuale chiedendosi perché si diventava cristiani nei primi secoli dopo Cristo e perché è conveniente esserlo ancora oggi, è stato il tema della serata con mons. Francesco Braschi e mons. Giancarlo Grandis.
Mons. Braschi ha iniziato descrivendo l’Impero Romano dei primi secoli dopo Cristo come una società che si concepiva vera perché immutabile, in cui nessuno poteva dire una parola nuova perché tutto era già noto, una società incapace per questo di concepirsi in cammino, in crescita: l’età dell’oro era alle spalle, mentre il presente era schiacciato sulle lotte per il potere. In un contesto simile, i cristiani erano accusati di empietà proprio per la novità di cui erano portatori: gli dei, nel paganesimo, si rivolgevano ai re, invece dire che Dio si è incarnato per i peccatori, che ha una preferenza per i peccatori, veniva percepito come ingiusto ed irrazionale e predicare ciò come empietà contro la divinità; infatti per la mentalità comune all’epoca era chiaro che nessuno poteva cambiare gli uomini incalliti nel peccato, né attraverso punizioni né tantomeno con la compassione. In un mondo simile, chi commetteva un errore viveva senza alcuna possibilità di essere perdonato.
I primi cristiani stupivano per un umanità che era immediatamente percepita come diversa: la conversione avveniva solo con la testimonianza, quasi per contagio. Poteva capitare di trovate uno schiavo che viveva la sua condizione con la certezza di essere libero in Cristo e con una letizia che scavava dentro a chi aveva intorno e faceva desiderare di vivere così. Lo sguardo cristiano riconosce nella persona una dignità che viene prima di qualunque formazione statale, mentre oggi stiamo tornando a pensare normale che sia lo Stato a conferire e creare diritti: così non si sfugge alla legge del più forte. Questa è una delle modalità nelle quali si declina la cultura dello scarto denunciata da Papa Francesco.
Centrale era il sempre maggior clima di insicurezza che i romani affrontavano affidandosi all’astrologia, ritenuta una scienza in grado di togliere l’uomo dall’incertezza del fato e riguadagnare un minimo di tranquillità. Anche oggi si rischia questo affidandosi, per esempio, agli esami genetici. Il meccanismo è lo stesso: la paura dell’esistenza spinge a riguadagnarsi un piccolo spazio di libertà tramite il metodo più scientifico che si conosca.
Invece il cristianesimo portava e porta tutt’ora la consapevolezza che il Mistero ha preso il volto di un Uomo, rivelandosi come infinita misericordia e tenerezza, e fa sorgere un’umanità nuova certa che la dignità di ogni persona è testimoniata dal fatto che Dio stesso si è chinato sull’esistenza di ciascuno. Questa era la conversione più profonda rispetto alla realtà di vita di quel periodo, soltanto un avvenimento a cui si partecipava poteva permettere un modo così diverso di vivere: si testimoniava semplicemente vivendo.
Mons. Grandis ha arricchito la riflessione con alcuni punti: in primo luogo, Dio si rivela per comunicare all’uomo la Sua presenza e la conversione nasce proprio dalla presa di coscienza della lontananza dell’uomo da Dio. Bisogna, quindi, andare alla radice della parola conversione che nella Bibbia si presente come un concetto triplice, religioso, intellettuale ed etico, perché la conversione coinvolge tutto l’uomo. Grazie alla conversione si abbraccia la fede e si giunge alla salvezza in Cristo, il quale denuncia l’illusione dell’uomo di bastare a se stesso, sull’esempio della parabola della vite e dei tralci.
In tutti i tempi si diventa cristiani attraverso quella che Papa Francesco chiama la “cultura dell’incontro”, come infatti ci ricorda anche Benedetto XVI all’inizio della Deus caritas est «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». La conversione è, perciò, il modo di essere del cristiano nel mondo, sempre rilanciato dall’attesa di incontrate di nuovo Cristo.
Ultimo punto è il tema della contro-conversione, dell’apostasia: per i pagani era Cristo che in realtà faceva diventare apostati della vecchia vita: Cristo anche oggi ci invita a lasciare la strada vecchia per quella nuova. Come si ricordava all’inizio, citando Celso, i cristiani erano accusati di empietà perché abbandonavano la via dei padri ed in un certo senso anche Cristo stesso lo afferma, invitando a riconoscersi peccatori, senza ipocrisia e come punto di partenza per la conversione, perché senza riconoscere la lontananza da Dio non si inizia il percorso inverso. Esempio di questo atteggiamento è Papa Francesco che, alla domanda di padre Antonio Spadaro, chi è Jorge Mario Bergoglio?, nell’intervista su La Civiltà Cattolica ha risposto: «Io sono un peccatore. Questa è la definizione più giusta. E non è un modo di dire, un genere letterario. Sono un peccatore». Il punto di partenza è riconoscersi peccatori, è la prima cosa anche all’inizio della celebrazione liturgica. Si attua sempre, così, la parabola del fariseo e del pubblicano: è stato salvato chi si è riconosciuto peccatore.
(Centro di Cultura Europea Sant’Adalberto, Verona)

Video dell’incontro



Data

Mercoledì 28 Ottobre 2015 ore 20:45

Luogo

Aula Magna Istituto “Alle Stimate”, via Carlo Montanari 1, Verona