La questione

Cosa ci serve per conoscere la realtà

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Quotidianamente toccati dalle terribili notizie dal Medio Oriente e dal fronte russo-ucraino, stentiamo a ricordare che violenza e terrore non sono presenti solo in quelle zone del mondo. Guerra, distruzione, dolore sono fatti con cui una parte considerevole dell’umanità ha quotidianamente a che fare. “Nel 2023 si sono verificati il 12% di situazioni conflittuali in più rispetto al 2022, il 40% rispetto al 2020. Una persona su sei vive in un’area in cui si registra un conflitto attivo.” (www.acleddata.com). Molte sono le situazioni in cui l’instabilità o la violenza determinano le condizioni di vita: dalle sanguinose guerre civili, come in Myanmar o in Sudan, alle gravi situazioni di crisi e pericolo per la popolazione civile, come in Messico, in Armenia, in Haiti o in Brasile, ai regimi che minacciano con la forza la vita dei sudditi, come in Corea del Nord o in Iran. Alcune situazioni sono recenti, altre perdurano da decenni, interessando decine se non centinaia di milioni di persone.

Sembra inevitabile condividere la constatazione che la storia è “un mattatoio, in cui sono state condotte al sacrificio la fortuna dei popoli, la sapienza degli stati e la virtù degli individui”. (G. W. F. Hegel, “Lezioni sulla filosofia della storia”).

Eppure, per noi Occidentali, moderni, ricchi e organizzati, tutelati da sistemi politici e sociali stabili ed evoluti, fiduciosi nella nostra tecnologia, nella finanza, nel welfare e nelle convenzioni che regolano il nostro vivere, è difficile cogliere l’osservazione hegeliana nella sua dimensione più drammatica. Se, infatti, si esclude la terribile parentesi della guerra nei Balcani degli anni ‘90 e la tragedia dell’11 settembre, lo spazio di pace che l’Europa unita e il mondo anglosassone hanno ereditato dal passato non vive una guerra aperta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, e la violenza è ormai legata a eventi e fatti privati.
C’è voluta l’ “operazione speciale” in Ucraina da parte di Putin per ricordarci che la fine della storia, intesa come cessazione di conflitti su scala nazionale, è ancora ben di là da venire, e che in tante altre zone del mondo si muore “facilmente”, in molte situazioni non ci sono tutele e protezioni, né posizioni di rendita che mitigano situazioni di crisi, né rifugi in cui ripararsi nei momenti più pericolosi.

Il sistema occidentale mette al primo posto la stabilità e la pace sociale e intende garantire a ognuno la possibilità di svolgere il cammino dell’esistenza come meglio crede, creando una zona libera da quanto di brutto accade nel mondo. Con l’andare del tempo, però, la sicurezza e la stabilità si sono trasformate in una specie di anestetico, che rende miopi: preferiamo guardare solo alle “nostre cose” e non allenare lo sguardo a guardare lontano, perché inconsapevolmente pensiamo abbia valore solo ciò che è a noi vicino, specialmente se gradevole, divertente e in linea con ciò che propone il potere attraverso i canali di comunicazione più invadenti che l’umanità abbia mai visto, vera arma di “distrazione” di massa.

Nel rapporto con una realtà ridotta alla sua apparenza immediata emerge un io asfittico e miope, che pensa a sé in solitudine e agli altri come potenziali ostacoli alla propria realizzazione. Da qui i piccoli o grandi conflitti che costellano la cronaca e le vite di tanti nelle zone più civilizzate del mondo: sul lavoro, in politica, nel sociale, in famiglia, nei rapporti in generale. Da qui anche la facilità con cui si invoca l’aumento dell’uso delle armi per risolvere le crisi in corso sul teatro internazionale, aspirando al massimo a un’esistenza serena e senza drammi.

Il poeta Inglese T. S. Eliot ha descritto l’umanità che ha perso il nesso con ciò che sta oltre l’apparenza, tutta dedita a organizzare la sua esistenza e la sua riuscita: in fuga da sé stessi, con la paura di vivere quello che offre la realtà anche nei i suoi fattori imprevedibili, “essi cercano sempre d’evadere / Dal buio esterno e interiore / Sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’essere buono.” (T.S. Eliot, Cori da La Rocca, BUR, pag. 87)

Ma per tornare a conoscere la realtà senza censure non abbiamo bisogno di un nuovo sistema sociale o di pensiero, quanto l’incontro con persone impegnate fino in fondo con la propria umanità, desiderosa di significato e di bene. Persone che non scappino dall’abisso di domanda che si apre quando affrontiamo il reale. Presenze positive, segni concreti di un cammino autenticamente umano anche dentro “tutte le brutte possibilità della storia” (Don Giussani). Persone che sperano. Sta a noi andarle a cercare, sta a noi scoprirle: esercitiamoci, dunque, a guardare, anche quando costa fatica e mette in discussione sicurezze e giudizi dati per scontati: dentro la tragedia potremmo scoprire qua e là fatti assolutamente imprevisti.

Questo è quello che nel nostro piccolo vogliamo proporre a tutti. Sono piccole fiammelle in contesti bui e disperati Non modelli di eroismo, ma esistenze autentiche, che mostrano una speranza capace di aprire nuovi orizzonti di azione, anche di fronte alla  “Terza guerra mondiale a pezzi” che avanza. Da qualche parte nel mondo c’è una umanità che resiste mettendo in gioco il suo desiderio di pace, giustizia, bellezza e perdono, arrivando anche, come ha fatto il Santo Padre, a mettere in discussione il paradigma della difesa armata a ogni costo.
Il punto di partenza per imparare da queste realtà è il nostro sguardo: alleniamolo e scorgeremo storie sorprendenti di incontri e riconciliazione che vanno oltre il conflitto.

Nicola Sabatini, Presidente Centro Culturale Massimiliano Kolbe Varese
(Articolo pubblicato su La Prealpina il 20 marzo 2024) 

Per questo invitiamo tutti a partecipare a 4 appuntamenti pubblici:

20 marzo, Aula Magna Scuole Manfredini:

Tracce di speranza tra le ferite della guerra con Padre Francesco Ielpo (Delegato della Custodia di Terra Santa per l’Italia), Alberto Reggiori (Medico chirurgo a Cittiglio), Alessandra Buzzetti (Corrispondente estero per TV2000 da Gerusalemme, in collegamento)

16/24 aprile, Sala Varese Vive, Via San Francesco:

Azer. L’impronta di Dio. Un monastero nel cuore della Siria Mostra a pannelli con materiale video

Fine aprile/inizio maggio:

Quel poco di brace sotto la cenere. Storie vere da un non luogo: il Tigrai. Con Anna Carobene (Professore di Chimica clinica e Biologia molecolare, Ospedale San Raffaele)

16 maggio, Tensostruttura dei Giardini Estensi:

Dialogo intorno al mistero del male. Con, Ezio Mauro (Giornalista, già Direttore de La Stampa e di Repubblica), Don Paolo Prosperi (Teologo e saggista, Università di Santa Croce, Roma)


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