Una celebre novella di Giovanni Boccaccio si conclude con la risposta pungente del protagonista, il poeta Guido Cavalcanti, che così si congeda da una brigata di giovani che lo aveva avvicinato con l’intento di “dargli briga”. Alla risposta arguta fa seguito un singolare quanto imprevedibile gesto motorio: un salto, “… e sviluppatosi da loro se n’andò”. Italo Calvino, seicento anni dopo, riprende il passo in una delle sue Lezioni Americane (quella dedicata, appunto, alla “Leggerezza”), soffermandosi su questo particolare del racconto in apparenza trascurabile. Il salto di Cavalcanti è per lui espressione plastica dell’intelligenza della risposta, della sua leggerezza, simbolo cioè del suo andare oltre la superficialità dei suoi interlocutori. Di quella leggerezza, e di quel balzo di Cavalcanti, c’è bisogno ora.
Ma da cosa, adesso, bisogna balzare via? Mentre scriviamo le scuole secondarie di secondo grado di molte regioni sono appena passate al 100% di didattica a distanza e ipotesi di sospensione della didattica in presenza si addensano anche sugli altri ordini: tanti docenti e dirigenti vedono sfumare, con senso di frustrazione, l’immane sforzo organizzativo degli ultimi mesi. Entrare in un gruppo social di insegnanti e leggerne i commenti è spesso un’esperienza sconfortante: lamento, pregiudizio, pretesa, scoraggiamento, demoralizzazione, reattività, tanto luogo comune e persino volgarità. Tutto sembrano fuorché un luogo, seppur virtuale, popolato da educatori. Da questo, dunque, bisogna saltare via: dal lamento che attarda e paralizza, dalla rabbia che appesantisce, dalla possibilità che la limitazione (la mal sopportazione della mascherina, i pur comprensibili timori di contagio di ciascuno) diventi la nota dominante di quel tempo di relazione educativa che comunque, nonostante tutto, non è sottratto, quali che siano le circostanze e le limitazioni.
Ma come si può essere leggeri? Se per il Cavalcanti di Boccaccio la leggerezza si fondava su un pieno di saggezza e cultura (“la leggerezza pensosa”, che si contrapponeva a quella “frivola” dei suoi interlocutori), su cosa possiamo fondarla noi? Nel corso della convention di Diesse 2020, la professoressa Monica Scholz Zappa ha raccontato di un attore, da lei invitato all’Università, che, leggendo una poesia di Montale, aveva stupito tutti perché aveva posto l’accento su alcune parole su cui nessuno lo avrebbe posto
Su cosa scegliamo, noi, di mettere l’accento? A quali parole (e gesti) decidiamo dare tono, cioè risalto, sguardo, spazio? Sempre durante la convention il professor Pino Suriano ha ricordato una polemica giornalistica tra Italo Calvino e Pierpaolo Pasolini sui giovani fascisti. Pasolini, al contrario di Calvino, avrebbe voluto
“ far di tutto per individuarli e per incontrarli. Essi (…) non sono nati per essere fascisti”. Pasolini era un insegnante. E da insegnante aveva parlato non determinato dal limite o dall’errore di ciò su cui discuteva, ma da ciò che sarebbe potuto diventare: “non sono nati per essere fascisti”. La leggerezza, perciò, si fonda allora paradossalmente su un pieno, un pieno di certezza: l’importanza, o meglio, quella che il professor Carlo Fedeli ha chiamato la “densità” dell’ora di lezione. “Tutto può cambiare, ma finché ci sei tu, io ci sono”.
Questa chiarezza sul centro della questione, appunto, rende leggeri. Alleggerisce, per esempio, dai tanti “-ismi” e dalle tante logiche di tifoseria su cui la scuola spesso si attarda: non ultima quella sulla tecnologia buona o cattiva.
Il professor Pier Cesare Rivoltella ha richiamato, in questo senso, l’esigenza di un “raffreddamento” nello sguardo sugli strumenti tecnologici che possa portarci “a guardare lo smartphone non diversamente da come guardiamo un compasso sul banco dello studente”. Del resto, quando l’accento è sul fine, il mezzo resta mezzo: non si idealizza e non si demonizza, ma, appunto, si utilizza. Anche perché, come ha detto sempre Rivoltella, “il rapporto tra disponibilità del mezzo e uso del soggetto è sempre uno spazio di libertà”.
Se il balzo di Cavalcanti è solitario, c’è una cosa che alleggerisce ancor di più: il balzo in compagnia. C’era la voglia del salto, la voglia di non soccombere al lamento e alla pretesa, per i 500 docenti che si sono incontrati a distanza per la Convention “L’educazione è qualcosa che viene prima di qualunque circostanza, di qualunque avversità” ha detto in conclusione Carlo Di Michele, Presidente nazionale di Diesse. Possono essere parole di circostanza, retoriche, o una concreta e decisiva scelta dell’accento.
C’è da stare in allerta. Non sarà un momento facile, ma di sicuro è il nostro.
E’ il momento del balzo
Il Punto di Diesse
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