La questione

UN’AZALEA IN VIA FANI

Featured image for “UN’AZALEA IN VIA FANI”

Un’azalea in via Fani. La stessa mano brigatista che nel ’78 fu tra quelle che, nel sequestro dell’on. Aldo Moro in via Fani a Roma, esplosero 93 colpi di arma da fuoco uccidendo gli uomini della sua scorta, sentirà il bisogno anni dopo di portare proprio in quel punto un vasetto con una piantina di Azalea. Era Franco Bonisoli. Dal mitra al fiore. In questa immagine Angelo Picariello, avellinese vissuto a Gessate (MI), prima di trapiantarsi a Roma, giornalista di Avvenire e scrittore, ha sintetizzato il senso del suo libro, Un’azalea in via Fani (ed. San Paolo). Libro che ripercorre il percorso del terrorismo italiano (di sinistra e anche di destra) sia ripercorrendo le tappe storiche, sia raccogliendo le testimonianze dirette del percorso umano di molti dei protagonisti, dalla scelta della lotta armata a una radicale conversione di idee e di vita. Sovente intrecciata dal cammino di perdono, di riconciliazione e di abbraccio da parte di stretti familiari delle vittime. Il fratello e il figlio di Bachelet, o la figlia di Moro, per esempio.
Il libro è stato presentato on-line il 30 aprile su iniziativa del Centro culturale San Mauro di Gessate, paese di temporanea adozione dell’Autore e del Cento culturale Newman di Cernusco sul Naviglio, epicentro della Martesana milanese. Bisogna dire con successo, perché conquistare 319 accessi alla piattaforma, so può far conto di 500 persone, presenti dall’inizio alla fine dell’ora e mezzo, vorrà pur dire qualcosa. Tra i “collegati”, anche ex leader dei movimenti rivoluzionari del ’68, come Aldo Brandirali fondatore di Servire il popolo, e ex terroristi come Maurice Bignami capo di Prima Linea, Franco Bonisoli e Walter Di Cera delle Br.
Il libro non è nato da un puro interesse storiografico e giornalistico. Lo sa bene Davide Perillo, direttore della rivista Tracce di Comunione e Liberazione, che ha seguito il lavoro di Picariello sin dall’inizio e che l’ha intervistato anche in questa occasione. Proprio chiedendogli da quale mossa personale nasce Un’azalea in via Fani. “Il cronista di politica si trova spesso a scrivere fuffa. Non del tutto per colpa sua, perché spesso la politica questo racconta. Quando mi è capitato di intervistare certi uomini, ex terroristi o loro amici di gioventù o familiari delle loro vittime, mi sono trovato di fronte a testimonianze di vita, di redenzione, che trasformavano la carta di giornale da roba buona per incartare il pesce a strumento che metteva in moto qualcosa nelle persone. Perché aveva messo in moto qualcosa in me, perché toccavano il cuore dell’uomo”.
E che cosa hai scoperto in questa umanità che hai incontrato? “Quello che descrive la canzone di Chieffo. Forza compagni…per un mondo meno brutto… lo desideravamo tutti. Per molti tutto fu affidato a una scelta politica. Anche estrema. Ma, come chiese un ragazzino a un prete rivoluzionario di Potere operaio (Aldo Trento),, come pretendi di cambiare il mondo se non cambi te stesso?”
Quale fu lo spartiacque, incalza Perillo. “Di sicuro non fu la maggiore o minore intelligenza, né la maggiore o minore bontà. Mi vengono solo parole come caso, o grazia. O incontri, ecco”.
“Il fatto che un autore di libro muova dall’essere colpito lui stesso è un bene prezioso” rimarca Perillo. Così i personaggi di un copione in cui domina l’incasellamento per categorie( il terrorista, il pentito, il dissociato, i parenti delle vittime) diventano persone. Le storie si svolgono innanzitutto dentro la persona.
“E non necessariamente in quelle culturalmente più attrezzate. La prima che racconto nel libro è di un ‘operaio’ di Lotta continua, movimento ricco anche di intellettuali (come Sofri). Leonardo Marino a un certo punto confessò di aver ucciso, con altri, il commissario Calabresi. Perché? Lo accusarono di essere vendicativo, o venduto. Io non accettavo queste spiegazioni di comodo, da cultura del sospetto. Leonardo Marino non aveva nessun interesse a vendicarsi e poteva benissimo farla franca. Quanto ai benefit, beh alla sua età è tornato al carrettino di ambulante… Il fatto è che i suoi figli avevano trovato l’amore di un bravo prete, e questa gratuità innescò tutto”. Insomma il cammino di riscatto di tanti è stato acceso da testimonianze di gratuità, amore, fino al perdono. “Le storie di risveglio dell’umano – osserva Perillo – sono storie di gente abbracciata dal perdono”. “Il pellegrinaggio laico di Bonisoli in via Fani – riprende Perillo – fa seguito allo sguardo umano con cui è stato guardato da un figlio di un agente ucciso”.
Gesti, rapporti, sguardi che liberano la realtà e l’umano dalla gabbia ideologica. Aldo Brandirali, fondatore a fine anni ’60 di Servire il popolo, d’impronta marx-leninista e maoista, vede al centro “il dramma dell’ideologia, che ha dominato un intero secolo con l’astratta violenta contrapposizione tra sistemi di idee totalizzanti e sfuggenti alla verifica della realtà”. Tutta la storia astrattamente e forzosamente ricondotta alla lotta di classe. “Lo schema mi stava stretto. Sentivo che dovevo riconoscere qualcosa che la realtà mi diceva. Quando iniziò in tanti compagni la dinamica verso le armi, sciolsi il movimento (15mila militanti) e passai sette difficili anni, dal 75 all’82, alla ricerca della sostanza dell’umano, indagando anche l’uomo primitivo. Arrivai a intuire che è il mistero il grande interrogativo dell’umano. IL fattore della realtà che chiedeva all’uomo un continuo cambiamento. Ho cercato Giussani e lui, da vero grande rivoluzionario, mi ha reso evidente che il mistero è una presenza incontrabile in Cristo e che la rivoluzione più grande è quella dell’amore”-
Realtà, incontri, il gratuito impensabile ridestarsi dell’umano. Amici ritrovati. Quelli di Roma, per esempio. Che si sono raccontati in chiusura. Walter Di Cera, dall’oratorio alle Brigate rosse. Non sparò quando doveva farlo, ed era deciso a farlo. Perché col dito sul grilletto gli tornò in mente quando era in un gruppo cristiano. Lo testimoniò in tribunale e davanti alla Commissione Moro. Picariello, quando lo intervistò per approfondire, raccolse l’allusione a una persona in particolare, “… quello che suonava la chitarra… Marino, ecco”.
Marino Tedeschi era direttore del Coro degli universitari di CL di Roma. “A liceo ero compagno di tanti futuri brigatisti. Giocavamo anche a palla prigioniera insieme. Poi le strade si divisero. Dopo 45 anni, pensate: 45!, salta fuori uno, Walter, che si ricorda di me mentre deve sparare per la causa; e che poi incontrandomi mi abbraccia manco fossi stato Sharon Stone… Io suonavo la chitarra e cantavo, con tutti gli altri, le nostre canzoni. Niente di che. Che cosa Walter aveva conservato in fondo al cuore per 45 anni?”
Per un Presente, nulla della storia va perso.
Nicodemo Oliverio, deputato del PD dopo essere stato nella DC e nella Margherita, ricorda con un’intensità cento volte più grande di allora, la figura di Moro, suo professore di Diritto penale alla Sapienza di Roma. Le lezioni dell’anno accademico ’72-’73, poco prima dell’agguato brigatista: “Era attentissimo a tutti i movimenti. Tutti i mesi versava la sua decima, il suo contributo, al nostro gruppo di scienze politiche di CL. Partecipava quando poteva agli incontri nostri, di Febbraio ’74, di Sant’Egidio. E nelle lezioni di quei mesi aveva messo a tema il riscatto e la rieducazione del condannato. Sempre alla ricerca dell’ascolto e del dialogo disinteressato”.
Percorsi dell’umano di Roma e dintorni che hanno portato ad essere “amici ritrovati”. Sì perché “finché da ragazzi cercavamo la verità, non ci odiavamo gli uni gli altri – osserva Walter Di Cera – ma quando entrai nelle Br questa dimensione la persi, come tutti gli altri. La dinamica di gruppo, in una formazione ideologizzata e combattente, ci ha come de-personalizzati”.
Ma nemmeno così alla fine è stato possibile annullare del tutto un cuore, che sanguinava e gridava dentro e cercava un abbraccio.
Maurizio Vitali

Vai alla pagina dell’evento del 30 Aprile scorso


Condividi: