L’ultima cima di Juan Manuel Cotelo, Spagna 2010 è il racconto della vita ordinaria di un prete straordinario, don Pablo Domínguez. Partendo da un rifugio la mattina presto, un sacerdote percorre con passo cadenzato un sentiero di montagna. In silenzio, con il solo rumore del suo respiro, s’inoltra nella neve per iniziare una scalata che lo porterà a raggiungere l’ultima cima. Per don Pablo Domínguez, che amava così tanto la montagna da definirla “un’anticamera del Cielo”, l’ultima cima non è stata quella del Moncayo – l’unica vetta che gli restava da conquistare del Sistema Iberico (catena montuosa che separa la provincia di Saragozza, in Aragona, da quella di Soria, in Castiglia) – ma il Cielo stesso. In quell’ultima escursione, infatti, don Pablo ha incontrato “sorella morte”, così da passare direttamente dalla bellezza e dalla maestosità del creato (“celebrare l’Eucaristia in montagna – diceva – è come celebrarla in un tempio costruito da Dio”) alla gloria del Creatore. Quando nel 2009 apprese dal telegiornale la notizia della sua morte, il regista Juan Manuel Cotelo rimase colpito: solo pochi giorni prima, infatti, aveva conosciuto don Pablo, al termine di una sua conferenza (il sacerdote insegnava alla facoltà di teologia di San Dámaso, a Madrid), e aveva chiacchierato con lui per pochi minuti. Un incontro avvenuto quasi controvoglia, che Cotelo aveva accettato più che altro per vincere l’insistenza di un amico che continuava a ripetergli: “Devi assolutamente conoscere don Pablo”. La notizia di quella morte improvvisa spinse Cotelo a riguardare il filmato della conferenza, un intervento in cui don Pablo, con uno stile accattivante, parlava del rapporto tra l’uomo e Dio e della “ragionevolezza della fede”.
Nelle interviste, il regista ha raccontato la sua avventura dello spirito e come da cristiano tiepido si sia riappassionato alla vita di fede, proprio grazie alla scoperta di questa figura. “Ero cristiano da sempre – ha raccontato – ma era come se vivessi in cima alle Dolomiti, chiuso nel rifugio di montagna senza mai mettere il naso fuori”. Fondamentale, la differenza tra adesione e conversione: “Se conoscere don Pablo ha provocato in me questo cambiamento, ho pensato che un film su di lui potesse sortire lo stesso effetto positivo sugli altri”. Per farlo, Cotelo ha raccolto testimonianze e racconti di quanti hanno avuto a che fare con don Pablo (al suo funerale erano presenti tremila persone, tra cui ventisei vescovi) e ne sono stati colpiti, amati, raggiunti fino nei bisogni più intimi del proprio cuore. Insieme alle interviste ai testimoni, il documentario presenta anche il parere dei passanti, dell’uomo della strada, a proposito del ruolo del sacerdote nella società contemporanea, e gli interventi del regista stesso, che dice la sua guardando fisso nell’obiettivo della videocamera e rivolgendosi agli spettatori. La figura di don Pablo è centrale, ma il film vuole parlare di altro. Innanzitutto, non emerge un santino, un’oleografia, né tantomeno un ritratto etereo o spiritualista. “Per credere in Dio – diceva sempre don Pablo – bisogna usare la testa”. Tutto, nel film, parla della semplicità di un incontro, della convenienza della fede, della gioiosa familiarità con Cristo; una familiarità che arrivava fino all’abbraccio della croce (don Pablo aveva problemi cardiaci e due ernie: in sette anni era stato ricoverato in ospedale una quarantina di volte, senza che questo fosse un impedimento a donarsi completamente agli altri). Soprattutto, si parla della disarmante semplicità con cui ognuno può incontrare Gesù nelle circostanze della propria vita. Don Pablo era senz’altro un uomo carismatico, che entrava facilmente in empatia con le persone, ma il documentario è chiaro nel dichiarare che non bisogna possedere doti uniche e particolari per svolgere correttamente la propria missione pastorale. Insomma, è l’essere prete – questo il senso del film – che ha consentito a don Pablo di usare il proprio carisma, e non il contrario. Quando in una trasmissione radiofonica gli chiesero di mettere in ordine d’importanza le sue qualifiche tra: “sacerdote, teologo, filosofo”, don Pablo rispose, “sacerdote, sacerdote, sacerdote”.
(Raffaele Chiarulli, Sentieri del cinema)
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