L’Osservatore Romano su “Incantati dalla Commedia”

Novembre 19, 2014
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Incantati dalla Commedia di Silvia Guidi (L’Osservatore Romano, 18/11/2014), recensione al libro di Franco Palmieri.
«Sembri la Pia de’ Tolomei» si dice a Firenze a una ragazzina con i capelli in disordine, volendola prendere in giro con grazia; fino a pochi anni fa, la battuta sarebbe stata perfettamente comprensibile senza bisogno di glosse a margine o spiegazioni erudite. Per secoli in Toscana i personaggi della Commedia sono stati parte integrante della cultura popolare, vicini alla gente come parenti o amici di vecchia data. E l’abitudine di impararne a memoria i versi, diffusa anche tra contadini, artigiani, madri di famiglia non necessariamente plurilaureate, è rimasta viva e vitale fino alla metà del Novecento. Per questo le letture radiofoniche, teatrali o televisive — come il lungo ciclo di Vittorio Sermonti o gli spettacoli di Roberto Benigni — al fiorentino doc e a chiunque ami davvero la poesia di Dante non bastano. Ascoltare o leggere non è sufficiente; con le tre cantiche bisogna convivere per imparare a conoscerle davvero. In tanti anni di progetti on the road, a Firenze e non solo, Franco Palmieri ha aiutato centinaia di persone ad arrampicarsi da sole sulle impervie
vette degli endecasillabi; perstrada con i cicli di recite itineranti o insieme ai carcerati di Prato e di Sollicciano.
Gli «spunti appena spuntati» su quest’esperienza e i pensieri disorganici rubati a ogni singolo cantore sono confluiti nel libro Incantati dalla Commedia (Firenze, Edizioni della Meridiana, 2013, pagine 142, euro 10) di cui riportiamo il primo capitolo e l’introduzione, scritta dall’allora sindaco di Firenze.

«New York in uno svogliato pomeriggio d’autunno è un regalo per gli occhi. Nei
pressi del Lincoln Center mi fermo in un bar per uno spuntino. La replica dell’Otello di Verdi è tra mezz’ora e il Metropolitan è dall’altra parte della strada. Dopo l’ordinazione, mi accomodo a un tavolo e attendo. Una donna, seduta
non molto lontano, mi sente parlare con il cameriere e mi chiede, con garbo, se
sono italiano. Le rispondo di sì. La signora, americana, apre la sua borsetta color rosa cipria fatta a mano, estrae una Divina Commedia tascabile e mi domanda se posso leggerle un qualsiasi frammento.
Non credo ai miei occhi, né tantomeno alle mie orecchie e non riesco a comprendere come possa trovarsi l’opera di Dante appoggiata sul vetro di quel tavolino giallo, con annessa la richiesta di una lectura Dantis in diretta. Dicono che in questa città può accadere di tutto in ogni momento e mi arrendo all’evidenza. L’unico brano che riesco a recuperare nella mia memoria tra lo sterminato
susseguirsi di terzine, per me tutte uguali, è il solo che ricordo dai tempi di scuola ed è quello di Ulisse.
Prendo il libro, lo apro e leggo, in un bar della Grande Mela, l’ultima parte del XXVI
canto dell’Inferno. Questa bizzarra situazione che ha tutti gli ingredienti di una scena del miglior Woody Allen, mi colpì moltissimo.
Non mi era mai capitato, prima di allora, che una persona mi chiedesse di sentire il suono di Dante e basta. Prima di quell’incontro, avvenuto tra una Divina Commedia formato pocket e un big panino con bibita alla frutta, i versi che conoscevo erano solo quelli appresi sui banchi del vecchio Liceo classico Giovanni Battista Morgagni, durante le lezioni di italiano seguite con quella pigrizia
e quella consueta svogliatezza dell’adolescente medio. A quel settembre
americano del 2004 sono seguiti poi altri mesi e altri incontri che mi hanno portato a incuriosirmi sempre più all’opera del Sommo Poeta. Sono accaduti molti fatti e tante altre persone mi hanno chiesto o raccontato cose che non sapevo dell’alto mare aperto della Commedia.
Come direttore artistico di questi affollatissimi eventi popolari, ho avuto poi il privilegio di incontrare migliaia di uomini e donne sollecitati da un sincero affetto per la poesia di Dante Alighieri.
In quasi dieci anni di incontri di formazione con le più svariate persone, che si rivelano essere appartenenti a un gruppo etnico sui generis, sono riuscito con una certa agilità a non insegnare quasi nulla, non essendo né uno studioso, né un esegeta dantesco.
Quello che invece è accaduto, senza alcun progetto studiato a tavolino, è stato semplicemente l’imparare ogni volta qualcosa di nuovo.
Attraverso quei fattori umani che si svelano nel convivere con le parole del Sommo Poeta e nel confronto con innumerevoli punti di vista, la Commedia è stata assimilata pian piano, ascoltando e attendendo che ne venisse a galla il suono, cioè il senso.
Spesso, durante le ore di preparazione ai canti, calava un silenzio improvviso provocato dalla loro grandezza, senza bisogno di aggiungere altro, nemmeno una parola. Questi momenti sono stati e sono la mia scuola permanente e quello che accade, soprattutto a Firenze da ormai sette anni, è un regalo che spesso oltrepassa ogni più bizzarra fantasia.
Mai avrei potuto immaginare che questi episodi danteschi avrebbero prodotto
incontri di lavoro a Bucarest, a Yerevan in Armenia o presso l’università di Notre Dame nello stato dell’Indiana, dove più di cento studenti con i loro professori si appassionano all’opera di Dante con una dedizione sorprendente.
(Incantati dalla Commedia, Edizioni della Meridiana, 2013)


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