Cronache dal nichilismo di Costantino Esposito

Gennaio 15, 2020
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Cronache dal nichilismo I
Sviluppi paradossali di una storia ancora aperta
Barlumi nel buio
14 gennaio 2020 L’Osservatore Romano

Il Nichilismo è tornato a essere un problema, nella vita delle persone e nelle vicende del mondo. Eppure sembrava che esso avesse vinto definitivamente e tranquillamente nelle società dell’Occidente avanzato, raggiungendo un dominio planetario accelerato dalla globalizzazione mondiale e da una tecnologia dell’informazione sempre più sviluppata. La sua vittoria era quasi nascosta nelle pieghe della vita dei singoli individui. Si trattava — e si tratta ancora — di una concezione pervasiva che segna le più diverse visioni del mondo, accomunate da un tacito riconoscimento: che non esiste più un significato del mondo, un senso ultimo di sé e delle cose, che possa realmente “prendere” la nostra vita nel presente, conquistarci e cambiarci, cioè renderci liberi.
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Cronache dal nichilismo II
L’intelligenza non è un pilota automatico
Una riflessione sul tema della conoscenza
28 gennaio 2020 L’Osservatore Romano

Nella prima delle nostre «Cronache dal nichilismo» (del 15 gennaio scorso) avevamo lanciato la sfida: per comprendere il momento storico che stiamo vivendo, segnato dall’ombra lunga del nichilismo, bisogna intercettare quei punti di luce in cui il vuoto di senso che finora appariva solo come una perdita di valori e di ideali, si muta lentamente — ma inevitabilmente — nell’emergere di un bisogno. Proprio allora possiamo verificare se c’è qualcosa di irriducibile che “resista” alla grande riduzione.
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Cronache dal nichilismo III
Quel distacco tra conoscenza e affetto
11 Febbraio 2020 L’Osservatore Romano

Per poter conoscere le cose c’è bisogno di amarle. Uno sguardo di affezione è richiesto anche quando usiamo la nostra intelligenza come una mera procedura di calcolo. Questa dimensione affettiva non va intesa però come un’aggiunta “sentimentale” o come un’emozione soggettiva rispetto alla fredda constatazione dei dati oggettivi della realtà. Al contrario, quell’affezione costituisce la motivazione di fondo in ogni nostro atto conoscitivo, un’apertura della nostra mente che cerca il senso delle cose. Possiamo descriverla come un’“attrazione” che la realtà — le cose, le persone, la natura, gli eventi — esercita sempre sul nostro io, chiamandolo e sfidandolo a un viaggio di scoperta. Ma la questione non è automatica, perché ha a che fare con la nostra libertà: il punto critico è se noi accettiamo o decliniamo questo invito del reale, e se dunque assecondiamo o mortifichiamo quest’affezione originaria all’essere.
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Cronache dal nichilismo IV
L’infinito che sta dentro
26 Febbraio 2020, L’Osservatore Romano

C’è un grande paradosso che accompagna dall’inizio la storia del nichilismo e che oggi vediamo più chiaramente nel suo compimento: il vero senso della “morte di Dio” — la formula con cui da Nietzsche in poi si allude alla crisi irreversibile di ogni trascendenza, ontologica, religiosa o morale — risiede nella morte di “io”. L’essere che io sono non va più pensato come un “dato” oggettivo, ma come il “caso” soggettivo di un processo evolutivo impersonale, un momento di transito provvisorio: quello che il nichilismo orientale, ispirato al buddismo, chiamerebbe la “non-permanenza” o la “non-esistenza” del sé individuale. Momenti accidentali nel flusso necessario della natura: ecco cosa sarebbero gli esseri umani, e non è affatto detto che la mancanza di un senso personale sia una perdita. Secondo alcuni potrebbe anche essere una liberazione, la possibilità di vivere la vita per quello che è, nel suo nudo accadere — e basta.
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Cronache dal nichilismo V
La vocazione della carne
11 marzo 2020, L’Osservatore Romano

Con il progredire del nichilismo – esploso all’inizio come una «patologia» rivoluzionaria, e giunto infine a essere accettato come una normale fisiologia della condizione umana contemporanea – viene a mutare radicalmente il concetto dell’essere umano come un essere «spirituale». Già nello Zarathustra di Nietzsche la volontà del superuomo coincide con il «rimanere fedeli alla terra» – installati nella dimensione biologica del corpo -, mentre i valori spirituali finivano per essere smascherati come mere «speranze sovraterrene». E quelli che parlano ancora di una realtà spirituale nell’uomo non sono altro che gli «avvelenatori» «dispregiatori della vita, moribondi e avvelenati esse stessi». Lo spirito sta in un altro mondo rispetto a quello terrestre, un sovrabbondo illusorio e menzognero, che copre e sublima le pulsioni telluriche (e inconsce) che muovono il nostro corpo.
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Cronache dal nichilismo VI
La gratitudine di essere nati
25 marzo 2020, L’Osservatore Romano

L’angoscia di questi giorni di pandemia sta portando a galla, in tutta evidenza, la trama nichilistica che segna da cima a fondo il nostro modo di concepire noi stessi e la realtà. Ma dall’altro lato sta mostrando di colpo, con altrettanta evidenza, che il nichilismo non è forse più all’altezza della crisi che stiamo vivendo nel nostro tempo. Sono proprio le domande che nascono dall’angosciante emergenza sanitaria a mostrare che l’assetto nichilistico della vita e della cultura, della politica e della società, sta implodendo dall’interno. Il cerchio si spezza e rinascono gli interrogativi. E non rinascono per forza di analisi — questa è la svolta culturale — se è vero che molte volte il surplus di analisi rischia paradossalmente di mettere a tacere le domande più importanti e di mancare il punto decisivo della situazione. Perché il punto siamo noi stessi e gli interrogativi rinascono come la “forma propria” del nostro essere al mondo.
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Cronache dal nichilismo VII
Lo shock di fronte al mistero
8 aprile 2020, L’Osservatore Romano

A che cosa pensiamo veramente quando parliamo di ”realtà”? Non mi riferisco in
prima battuta alle teorie che stanno dietro o che influenzano – consapevolmente
o inconsapevolmente – i nostri discorsi quotidiani. Vorrei partire invece proprio da questi discorsi e da una constatazione tanto evidente quanto spiazzante: il fatto che un virus invisibile e incontrollabile abbia fatto irruzione silenziosamente ma implacabilinente nelle nostre vite, scardinando da cima a fondo l’ordine su cui bene o male si reggeva la nostra società. spalancando davanti ai nostri occhi una voragine minacciosa, come se all’improvviso si aprisse ai nostri piedi un burrone di cui non vediamo il fondo.
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Cronache dal nichilismo VIII
La distanza tra certezza e verità
21 aprile 2020, L’Osservatore Romano

Che ne sarà di noi? Nel tempo della crisi pandemica — come in ogni situazione critica che tocchi l’esistenza personale e sociale — questa domanda torna a importunarci, struggente e implacabile. Struggente, perché è il segno di un’ultima tenerezza nei nostri confronti, come un prendersi cura del nostro destino, cioè della possibilità di compiere o meno ciò che desideriamo nella vita. Implacabile, perché si tratta di una domanda a cui non riusciamo a dare una risposta scontata o automatica in base ai nostri propositi o alle nostre programmazioni. In essa infatti tocchiamo con mano il fatto che stare al mondo vuol dire essere sempre in questione, e che la vita è un’avventura — individuale e collettiva — che dobbiamo giocarci sempre.
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Cronache dal nichilismo IX
Chiedimi se son felice
6 maggio 2020, L’Osservatore Romano

Ma alla fine riusciremo davvero a essere felici? La tacita promessa che ci inquieta, e a volte ci rode, avrà compimento? O lascerà dietro di sé solo un rimpianto? Quella della felicità è come l’intenzionalità profonda in ogni nostro gesto, in ogni nostro atto di conoscenza, in ogni iniziativa. Certo, di volta in volta noi vogliamo una cosa o un’altra, miriamo a determinati risultati, cerchiamo di risolvere problemi particolari, ma è quell’attesa di auto-compimento il motore che dà avvio ed energia al nostro moto umano. Normalmente noi guardiamo a questa attesa con una specie di pudore, o come ha scritto una volta Rilke, con «vergogna», quasi si trattasse di «una speranza che non si può dire» (Elegie Duinesi, II)
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Cronache dal nichilismo X
Quel disegno nascosto dentro la nebbia
20 maggio 2020, L’Osservatore Romano

La rubrica «Cronache dal nichilismo», che si conclude oggi, è iniziata il 15 gennaio scorso con l’articolo Barlumi nel buio. Sviluppi paradossali di una storia ancora aperta. L’autore è professore ordinario di Storia della filosofia nella facoltà di Lettere e Filosofia dell’università di Bari. I suoi principali interessi di ricerca riguardano il pensiero di Martin Heidegger, la filosofia di Immanuel Kant e l’opera metafisica di Francisco Suárez, vista come passaggio dall’eredità della scolastica del Medioevo all’ontologia dei “moderni”. Dal 2000 dirige, insieme a Pasquale Porro, la rivista internazionale «Quaestio»

Una delle caratteristiche più proprie degli esseri umani — per strano che possa sembrare — è la capacità di pensare il “nulla”. E non si tratta solo di un tema sofisticato per filosofi di professione, ma di un’esperienza che a tutti è capitato e capita di fare: la percezione del vuoto, dello smarrimento, dell’angoscia che ci assale in certi momenti, e di cui non riusciamo a dare altra spiegazione tranquillizzante se non che «non era niente», ma più al fondo era il nulla stesso che avanzava nella nostra coscienza. Eugenio Montale lo ha colto in un verso di conoscenza poetica acutissima, chiamandolo addirittura un «miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore di ubriaco» (da Forse un mattino andando in un’aria di vetro). Sono momenti brevi, a volte fulminei, altre volte nascosti nelle pieghe dell’esistere, che dal fondo del vivere accompagnano sordamente, come un “basso continuo”, i nostri pensieri e le nostre occupazioni quotidiane. Non sto parlando del disagio proprio di casi psichici particolari, ma di una condizione diffusa e condivisa, che non chiamerei affatto una patologia, ma al contrario uno dei segni più eloquenti — per quanto enigmatici — della nostra stessa “natura”. Il nulla è una chance del reale, che ci sta sempre davanti, o meglio si palesa dentro di noi e attorno a noi, richiamandoci chi siamo e perché siamo.
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