Milano: E vide che era cosa molto buona



“E vide che era cosa molto buona. Il dono della vita, la vita come dono”, un contributo alla riflessione aperta dall’Arcivescovo di Milano con il Discorso alla città, raccolto nel volume “Cosa nutre la vita? Expo 2015”.

Intervengono:
Mons. Luca Bressan
Vicario episcopale per la cultura, carità, la missione e l’azione sociale dell’Arcidiocesi di Milano
Mons. Patrizio Garascia
Vicario Episcopale della zona pastorale V- Monza
Sandro Chierici
Direttore editoriale di Ultreya, curatore della ricerca iconografica
Miro Fiordi
Direttore Credito Valtellinese

Introduce e modera
Eugenio Dal Pane
Direttore editoriale di Itaca

La mostra, prodotto da Itaca in collaborazione con AIC e il sostegno del Gruppo bancario Credito Valtellinese, ha il patrocinio dell’Arcidiocesi di Milano, del Progetto Culturale della CEI e della Libreria Editrice Vaticana.
L’inaugurazione della mostra avrà luogo giovediì 1 maggio a Seveso presso il Seminario e successivamente sarà allestita in altre città.

Dalla prefazione alla guida:

Questa mostra costituisce un contributo alla riflessione aperta dall’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, con il discorso di Sant’Ambrogio, Cosa nutre la vita. Expo 2015, che nella sua parte conclusiva si innesta nel tema del prossimo Convegno Ecclesiale Nazionale della Chiesa italiana che si svolgerà a Firenze (9-13 novembre 2015), In Gesù Cristo il nuovo umanesimo.
Sono questi i due eventi che fanno da alveo al percorso della mostra.

Sezione prima
Molti interrogativi, una domanda
Il punto di partenza è uno sguardo al contesto nel quale viviamo caratterizzato da un cambiamento epocale. I tanti drammi che affliggono il mondo – guerre, terrorismo, iniqua distribuzione della ricchezza, diseguaglianze, povertà, fame… – e quelli personali destano mille interrogativi, fino a mettere in discussione la stessa positività del vivere di fronte ad un futuro che appare minaccioso come i corvi che incombono sul campo di grano dipinto da Van Gogh.
Tali interrogativi, se guardati fino in fondo, aprono ad una domanda sostanziale, che riguarda il senso stesso dell’essere uomini, il fondamento dell’esistenza: «Ed io che sono?».
Quando l’uomo considera se stesso, non trova una formula che possa definirlo; in lui convivono misteriosamente e drammaticamente miseria e grandezza, viltà e altezza di sentire, un cuore che batte irriducibilmente e che, se fosse posto di fronte alla realtà per la prima volta con la coscienza dell’adulto, non potrebbe non provare lo stupore che provò Dio guardando la creazione: «E vide che era cosa molto buona». La realtà si imporrebbe ai propri occhi come una presenza imponente, bella, attraente, e la sua coscienza ne sarebbe risvegliata.
L’uomo di oggi guarda nel vuoto, condannato all’angoscia di un’esistenza percepita senza origine e destino. Ma propria tale condizione può riaprire la domanda decisiva: “Perché esiste tutto ciò che esiste?”.
La prima sezione si conclude accostando l’uomo angosciato di Munch all’angoscia del popolo ebraico al tempo dell’esilio in Babilonia.
Proprio in tale contesto, a contatto con la religione babilonese e i suoi miti circa le origini, Israele riguarda la propria storia fino a prendere coscienza che Dio è fedele e avrebbe salvato il popolo perché Creatore e Signore del mondo.

Sezione seconda
In principio Dio creò il cielo e la terra

Il creato trae origine dal disegno di amore di Dio: credere questo «illumina ogni aspetto dell’esistenza e dà il coraggio di affrontare con fiducia e con speranza l’avventura della vita» (Benedetto XVI).
Al vertice della creazione Dio pone l’uomo, maschio e femmina, cioè costitutivamente relazione, fatto per la comunione con l’altro.
Il creato, frutto dell’amore di Dio, è affidato alla signoria dell’uomo perché lo coltivi e lo custodisca e tragga da esso il necessario nutrimento.
Amicizia è la parola che descrive la condizione originaria: tra Dio e l’uomo col quale passeggia in giardino; tra l’uomo e la donna; tra l’uomo e l’ambiente. Ma tale condizione non è imposta; è affidata alla libertà di Adamo ed Eva. È lì che si insinua la tentazione che ha la forma del virus del sospetto: che Dio sia il nemico della libertà e del compimento dell’uomo. Entra così nella vita l’esperienza dell’estraneità: da Dio, da amico divenuto uno da cui nascondersi; dall’altro, dal cui sguardo ripararsi.

Sezione terza
L’uomo artefice del proprio destino?

La Torre di Babele designa il tentativo dell’uomo di costruire la propria esistenza a prescindere da Dio o ergendosi contro di Lui.
Dal rifiuto della relazione con Dio consegue una triplice perdita: della relazione con se stessi, con l’altro, con l’ambiente.
Privato del proprio volto, perduta l’esperienza di un bene originario, di una mano benedicente, l’uomo diventa indifferente all’altro e le sue mani si protendono spasmodicamente ad afferrare le cose per sé, per possederle, come in disperato tentativo di conseguire da esse appagamento e soddisfazione.
Ma senza Dio l’uomo è davvero più felice? In realtà si ritrova solo in mezzo alla strada della vita, in balia del nulla. Il nichilismo è l’esito tragico della pretesa dell’uomo di essere artefice del proprio destino.

Sezione quarta
Cosa nutre la vita

È possibile ricominciare? E se sì, da dove? Non dai propri pensieri, sentimenti, stati d’animo, ma dalla realtà che si presenta – agli occhi di un bambino come a quelli di un uomo ragionevole – dono inaspettato, immeritato, carico di promessa: quel bene che il cuore attende esiste ed è per me.
Posto di fronte alla realtà l’uomo si mette al lavoro per trarre da essa ciò che possa meglio rispondere ai suoi bisogni. Proprio lavorando l’uomo fa esperienza di essere fatto per l’infinito: egli scopre in sé un desiderio di bellezza e di bontà per cui l’opera delle proprie mani va ben oltre il puro dato di necessità, costantemente tesa a ciò che è bello e buono, a scoprire il vero di ciò che lo circonda e lo affascina.
Questa tensione ideale nell’affronto della vita fa dell’uomo un coltivatore e un custode, della terra come dell’umano. Custodire, coltivare significa avere cura, rispetto, onorare, fare crescere. Senza qualcuno a cui rispondere prevalgono il dominio, il possesso individualistico, la cultura dello spreco e dello scarto; ma se tutto è dato, allora esso diventa oggetto di cura amorosa come il dono che ci è fatto da una persona che amiamo: solo questo genera una reale responsabilità. Ha detto Papa Francesco all’inizio del suo pontificato:«E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce».
Senza una ecologia dell’umano, senza educazione non potranno esserci nemmeno una ecologia ambientale e una reale condivisione dei beni che generosamente Dio ha affidato agli uomini.

Sezione quinta
In Gesù Cristo il nuovo umanesimo

“Non è bene che l’uomo sia solo”. Alla confusione e allo smarrimento dell’uomo, alla sua tristezza e angoscia, Dio risponde facendosi lui stesso uomo, camminando al suo fianco così da rendere più realisticamente possibile ciò che la natura percepisce come desiderabile.
Da dove, infatti, poteva venire all’uomo ferito e smarrito una reale novità? Come avrebbe potuto con le sue solo forze fare morire “l’uomo vecchio” e rinascere a vita nuova?
Ancora una volta è la potenza creatrice di Dio che prende l’iniziativa, cercando un cuore che lo attendesse e sottomettendosi alla sua libertà. L’umano “sì” di Maria segna l’inizio di una nuova creazione in cui ridiventa possibile l’esperienza della familiarità con Dio. In Cristo, nuovo Adamo, l’uomo riscopre la verità di sé, cosa significhi essere uomo. Che cosa cambia? Non in primo luogo le circostanze, ma il cuore dell’uomo, che non porta più da solo il peso della vita, sotto il quale spesso soffoca e soccombe. La compagnia di Cristo rende l’uomo che lo incontra e lo segue certo che nella realtà c’è una Realtà che salva tutto – innanzitutto sé stessi – dalla dissoluzione e dalla morte. Ed è una presenza all’opera, provvidente, che ha compassione per la vita di ciascuno.
Alla solitudine dell’uomo non bastano le cose, il cibo che sazia, di cui pure Dio si preoccupa. Ciò che nutre la vita è un Amore. Il dono della creazione ha il suo culmine nell’Eucaristia, il dono totale che Cristo fa di sé, vero nutrimento della vita. Da questa logica di Dio – logica del dono di sé – l’uomo è introdotto nella logica del dono come legge della vita.
Da questa coscienza che tutto è dato si genera il nuovo umanesimo, non come sistema di pensiero, ma come amicizia tra uomini che rinnovano la polis, i rapporti civili ed economici in quanto vivono la vita non per se stessi, ma come collaborazione con l’opus Dei, così da essere collaboratori del Padre nell’opera di custodia del creato, uomini e cose.
È quanto è storicamente accaduto grazie a uomini che non si proponevano di conservare una cultura del passato o di creare una nuova cultura, ma avevano come obiettivo il quaerere Deum, cercare Dio. E così attraverso la loro umanità cambiata è nata anche una nuova civiltà.
Di fronte ad un cambiamento epocale, alla fatica del vivere che tutti attanaglia, le strutture, le iniziative, i programmi non hanno la forza di ridestare il cuore dell’uomo.
Solo una vita nuova può di nuovo «attrarre in maniera misteriosa e irresistibile gli uomini». L’uomo non può darsi da solo la novità, ma solo riceverla da Dio. Il tempo della persona è dunque il tempo di una vita da discepoli, di persone che accolgono personalmente l’invito di Gesù: “Seguimi”.

Epilogo

I cristiani vivono tutto questo con l’umiltà di chi sa di avere ricevuto un dono immeritato, da condividere con chiunque voglia accoglierlo.
Per questo la mostra si conclude sull’invito accorato di Papa Francesco ad uscire per offrire a tutti la vita di Gesù perché «fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare”».

 



Data

Martedì 29 Aprile 2014 ore 18:00

Luogo

Sala Convegni, Curia Arcivescovile 2 Milano