E’ al cinema “Il giovane favoloso” di Mario Martone, Film presentato in concorso alla recente Mostra del cinema di Venezia, racconta la vita di Giacomo Leopardi a partire dalla sua gioventù passata a Recanati, in cui il desiderio di libertà trova sempre più spazio nel piccolo Leopardi, che arriverà presto a lasciare il nido familiare per mettersi alla ricerca della ciò che il mondo può offrire, per tentare di comprendere fino in fondo la profondità delle cose. Il film disegna così la traiettoria di tutta l’evoluzione di Giacomo Leopardi, dalla scrittura dei primi versi a Recanati fino a alla declamazione del suo ultimo componimento, La Ginestra, in cui il poeta espone il suo pensiero sul mondo e sulla Natura. «La sfida – spiega Elio Germano – era pronunciare quelle parole senza declamarle, dire quei versi portandoli nella carne, nella quotidianità. Ho cercato di non pensare di essere un attore che recita una poesia, ma di immaginare di essere la persona che li ha scritti. Mi sono immedesimato in un Leopardi che li stava rileggendo, li provava per vedere se funzionavano».
AIC propone la lettura della recensione di Nicola Campagnoli:
Il film di Martone su Leopardi ha un unico tema. Dice un’unica cosa. Perché Martone ama Leopardi e ne è attratto, fortemente attratto. Non parla di Leopardi, non interpreta non attualizza non spiega Leopardi. Lo segue e ne è affascinato. Spesso siamo ingabbiati in letture e spiegazioni di Leopardi, più o meno suggestive, ma quanto ci siamo lasciati portare da lui, quanto siamo stati con lui per guardare quello che stava guardando lui? Martone ha avuto il coraggio – lo ha dimostrato prima con “Le operette morali” in teatro e ora con il film – di seguire lo sguardo di Giacomo, di lasciarsi prendere da lui, di fare i passi che faceva lui. E in questa ‘operazione’ di sequela pura del poeta, Martone ha scoperto con gli occhi di Giacomo ‘l’unica cosa’, il pensiero dominante, la nota insistente e insistita, il focus, il punto centrale. Questo ‘essenziale’ Martone – come Giacomo – ha messo in evidenza, ha mostrato in tutta la sua forza e potenza, ha messo in scena in tutti gli istanti del film: il grido, il grido per una mancanza, la mancanza stessa.
In mezzo al fare e al produrre del mondo, tra le mille immagini e progetti per migliorare le sorti umane, tra gli ideali e le ideologie che hanno il fine di guidare al meglio i passi dell’uomo, Martone e Leopardi hanno ridetto quale sia l’unico pensiero degno della statura umana, il pensiero dominante: la mancanza della felicità, il desiderio di felicità. Di conseguenza il problema umano vero non sta nel dovere o nel riuscire, ma nell’amare e nell’essere amato ( come più volte ripete il Leopardi di Martone).
Tutti i contemporanei di Leopardi, come i contemporanei di Martone, clericali, di destra o di sinistra, si rivolgono alle cose concrete, prendono questo pensiero dell’infelicità o della felicità come un ostacolo da risolvere, come un presupposto da superare, come un’astrazione che ci conduce all’ immobilità ( e che quindi non aiuta a risolvere); Martone e Leopardi no, fanno sempre un passo indietro, in ogni occasione, dal fare il bene o fare il male, dall’ideare e progettare, dall’attivismo teso al progresso o alla solidarietà. Restano sull’inizio. E l’inizio è quel tema dominante della felicità o infelicità. L’inizio è sempre la vera ricerca di ciò che veramente è, realmente ci tocca come esseri umani. Quel grido scomodo, quello scoprirsi che è una continua ferita per se stessi e per la società che ti sta intorno, quello di cui – come dice Rilke – si dovrebbe sempre tacere per ‘tirare avanti’.
Qui l’unico tema è questo. Se si vuole trovare il coraggio civile di Leopardi, se si vuole trovare la religiosità di Leopardi, se si vuole trovare l’umanitarismo di Leopardi, per stare più tranquilli, non si passi da qui, dal film di Martone.
Qui, dai sogni di gloria che fanno piangere il ragazzo prodigio Leopardi che riceve le prime lettere di Giordani al disagio della vita nel borgo selvaggio ( dove poi il Leopardi di Martone dice di voler tornare) , dal desiderio di fuga alla disperazione a cui il giovane giunge a causa dell’amore per Fanny ( un racconto nel racconto che sembra ripetere la tragedia vissuta dal ‘piccolo signor Friedmann’ di T.Mann), dalla incomprensione dei letterati contemporanei al doloroso dialogo con la natura (che giunge all’apice con la recitazione della Ginestra), tutto ripete – come la goccia di Chopin – lo stesso immenso desiderio, la stessa grande mancanza. Lo ripete fino allo sfinimento.
Ma il mettere avanti a tutti, e a se stessi, questo grido e renderlo l’unico protagonista della nostra vita e della vita di tutto il cosmo, non vuol dire mettersi di fronte a ciò che di più vero c’è in noi e al grido verso l‘unica presenza che può colmare questa assenza?
Come come scrive don Giussani ne “Le mie letture”: ‘…se il limite delle cose che Leopardi incontra, il limite dello stesso universo che contempla, non lo definisce… significa che afferma una presenza che lo richiama e lo suscita, significa che l’uomo grida e afferma la presenza di qualcos’altro’
Leggi “Leopardi e il grido di ogni uomo trasformati in un film” di Caludia Carbrini (ilSussiadiario.net, 04/11/2014)
Leggi la recensione di Antonio Autieri di Sentieri del Cinema
Leggi “Favoloso. Il giovane Favoloso” il commento al film di Mario Elisei, studioso dell’opera e del pensiero di Leopardi (dal sito del CMC)