La notizia è che alla Sorbona si è parlato di Eugenio Corti in un convegno dal titolo “Le récit par images – Eugenio Corti (1921-2014)”. Si tratta di un evento eccezionale per uno scrittore scomparso da soli due anni, di un riconoscimento di alto livello che ha confermato in maniera definitiva l’ingresso dell’autore del romanzo “Il cavallo rosso” nel canone della letteratura novecentesca. Sotto l’accurata direzione scientifica di Lydwine Helly, dell’Università di Rouen, e di François Livi, emerito della Sorbona, entrambi da tempo sostenitori del valore dell’opera di Corti e promotori della sua conoscenza oltralpe, dieci docenti di sette università francesi e italiane, studiosi, giornalisti, insegnanti, intellettuali ed estimatori del romanziere brianteo si sono ritrovati nella sede del prestigioso ateneo parigino il 29 e il 30 gennaio scorsi per approfondire la portata storica e letteraria dei suoi scritti.
La molteplicità dei punti di vista e le possibilità offerte dai diversi approcci disciplinari hanno condotto la riflessione al cuore delle ragioni che, da oltre trent’anni, decretano lo straordinario successo di pubblico conseguito da Corti. Ciascun relatore ha esaminato un aspetto dell’opera cortiana secondo le proprie specifiche competenze scientifiche, mettendo in luce percorsi di lettura e indicando linee di analisi che promettono sviluppi interessanti. Ma soprattutto – e il dato è una sorprendente conferma, considerando che si tratta di lettori scaltriti e di specialisti del settore – le giornate parigine hanno proposto relazioni in cui l’approccio rigoroso degli studiosi ha rivelato manifestamente l’entusiasmo personale suscitato dalla lettura di Corti. È, a ben vedere, la stessa vicenda che ha coinvolto centinaia di migliaia di lettori di ogni parte del mondo, la vita dei quali è stata segnata dalla verità e dalla bellezza che rendono unici gli scritti di questo autore.
Impossibile dar conto di tutte le suggestioni emerse nei lavori. In apertura del convegno Livi ha analizzato, seguendo un percorso filologico, i registri letterari nei testi relativi al fronte russo, evidenziando nelle lettere inviate dal giovane ufficiale ai familiari due filoni che resteranno costanti nella narrativa cortiana: l’attenzione al paesaggio e le ragioni della partenza. Analogo l’approccio di Rachel Monteil (Université de Lorraine), che studiando le rappresentazioni del paesaggio tratteggiate da Corti, esteriorizzazione dell’inferno vissuto nel diario “I più non ritornano”, realistico ma carico di portata simbolica nelle opere narrative e in “Processo e morte di Stalin”, è giunta alla definizione del suo lavoro come “scrittura in immagini”. Si deve invece a Vanina Palmieri Marcolini (Université Paris III Sorbonne Nouvelle) una ricchissima indagine sulla presenza paradigmatica e per molti aspetti idealizzata delle figure femminili nel “Cavallo rosso”, mentre la lettura di Cesare Cavalleri, editore italiano, del racconto per immagini “Catone” l’antico ha fatto emergere nella figura del celebre censore romano una proiezione dell’autore stesso, anche per quanto riguarda il suo rapporto con la scrittura.
Uno spazio rilevante è stato dedicato al Medioevo, l’epoca che questo autore ha amato maggiormente. Lydwine Helly ha messo in luce il carattere “naturalmente medievale” di Corti in quanto uomo e in quanto scrittore, soffermandosi sulla sua visione teocentrica del mondo, sulla presenza della natura in ogni circostanza narrata, sulla centralità e sulla libertà dell’uomo nel creato, sulla visione di un cristianesimo mai relegato alla sfera privata. Elena Landoni (Università cattolica di Milano) ha chiarito le strutture dell’estetica cortiana in relazione ai modelli culturali del Medioevo, momento privilegiato di evocazione del bello, individuando nella capacità di dar voce al mistero il nucleo dell’alterità di Corti nel panorama letterario.
Lo studio delle ideologie del XX secolo, costitutivo dell’attività letteraria di questo autore, è stato approfondito da Philippe Pichot-Bravard (Université de Brest), entusiasta e puntuale lettore dello “Cheval rouge”, che nella sua relazione ha chiarito come dalla preoccupazione di Corti per il mistero del male nella storia non nasca un modello teorico ma la rappresentazione dell’uomo nella dimensione totalitaria, in cui la miseria morale generata dall’ideologia si rivela ben più grave di quella materiale. È partito invece da un approccio critico comparatistico Philippe Maxence, recensore di antica data dell’opera di Corti in francese: nel paragone con Solgenitzin, lui pure tramite di verità e romanziere, lo scrittore italiano ha rivelato il suo carattere di “dissidente occidentale”, di voce profetica che ha annunciato in solitaria verità storiche difficili da accettare e che, giunto alla certezza del bene proprio attraverso l’esperienza del male, ha proclamato attraverso le sue opere la vittoria del bene sul male.
Chi scrive ha analizzato criticamente i tratti del realismo narrativo di Corti, che rende ragione della realtà a partire dal nesso con la trascendenza, approfondendo la sua vocazione di scrittore-testimone, per il quale la narrazione non può che nascere dalla vita reale. E proprio dalla sua esperienza personale veniva la percezione della presenza degli angeli nella vita quotidiana su cui lo avevo tante volte interrogato. Ne avevamo parlato anche a Parigi, molti anni fa, durante una visita di promozione delle sue opere: passeggiando lungo la Senna gli avevo confidato che avrei voluto studiare le relazioni tra gli angeli e i poeti nella sua opera e lui aveva approvato sorridendo. Si tratta di una promessa mantenuta.
Solo gli atti del convegno potranno rendere pienamente ragione della ricchezza dei lavori, seguiti con grande attenzione da un pubblico composito e conclusi da una coinvolgente lettura drammatizzata di brani delle opere narrative di Corti.
L’evento accaduto nella Salle des Actes della Sorbona mostra che a partire dalla testimonianza letteraria dell’autore lombardo la bellezza continua a mettere silenziosamente radici. Il filo conduttore dei lavori ospitati dall’università parigina è stata la percezione comune di una responsabilità nei confronti della bellezza incontrata. Una consapevolezza di cui si è fatto portavoce François Livi che, nel saluto conclusivo, ha auspicato un lungo, produttivo futuro per le amicizie sorte intorno all’opera di Corti.
(Paola Scaglione)