Proponiamo una recensione di Nicola Campagnoli al film presente nelle sale cinematografiche Il sogno di Francesco, nuova incursione cinematografica nella vita del santo di Assisi firmata da Renaud Fely e Arnaud Louvet con Elio Germano.
Il film Il sogno di Francesco ha la forza di mettere in evidenza due modi diversi di intendere la fede: il primo modo, intende la fede come mezzo per mettere ordine nella realtà. Per risolvere i problemi e i bisogni infiniti e innumerevoli della gente. E’ la modalità di frate Elia, una persona sicuramente piena di impeto generoso e organizzativo, ma che non riesce a cogliere il vero dell’esperienza cristiana. Si preoccupa dei poveri, salva dei bambini dalla fame e dalla morte, si impegna con tutto se stesso per guarire un confratello moribondo. Cerca di rendere la vita di Cristo, l’originalità e la gratuità della tenerezza di Cristo sull’uomo ( testimoniate da Francesco), delle conquiste “applicabili e ripetibili”; tenta di far diventare la fraternità di Francesco una forma associativa fruibile a tutti attraverso delle opere che possano ” rendere solida” e stabile – di cristallizzare cioè – la testimonianza del padre spirituale, a cui egli peraltro è devotamente legato. Proprio così Francesco stesso definisce Elia, parlandone con Chiara, ” devoto”. Elia, insomma, cerca di pianificare un carisma, di togliere la sua imprevedibile misteriosità e alterita’ per renderlo una organizzazione democratica e umana. Fatta dall’uomo e adeguata all’uomo.
L’altro modo di vivere la fede è quello di Francesco. Egli vive della gioia di essere stato scelto da Cristo, della totale gioia di aver trovato il cuore infiammato di Cristo nel cuore fragile e disperato dei deboli. Di fronte alle preoccupazioni di Elia per i confratelli, Francesco lo paragona alle madri che temono per i figli. Elia, pronto e intelligente, risponde al santo che le madri si preoccupano perché amano. Francesco risponde che le madri però perdono il meglio. Sono prese dall’ansia e da come le cose dovrebbero andare per i figli, e perdono il gusto infinito di stare con loro, di godere di ogni loro respiro. Il gusto di comprendere che i figli – e la vita intera – sono di un Altro.
Francesco vede in Elia la paura. Vede in lui la paura del nulla, della morte, del vuoto che le buone azioni non possono colmare.
Lo stesso frate, amico e successore di Francesco, ammette – e ben lo vedremo nel corso dei vari episodi del film – di non vivere la pace, di non conoscere la gioia che Cristo offre. Proprio per questo Elia cerca una sicurezza, per lui e per l’ordine, in una ” proprieta’”, in mura e terre che possano dare una patria agli scalcinati confratelli di Francesco, senza renderli preda disarmata del mondo vorace e cattivo.
Elia non è malvagio, la sua è un’azione a fin di bene, ma che non conosce la pienezza dell’amore di Cristo. E’ un’azione ridotta.
Nel film c’è certamente, sullo sfondo, una chiesa medievale stilizzata ( in modo abbastanza ingenuo e convenzionale) cattiva e ricca, chiusa in se stessa. Una Chiesa che non rifiuta la novità di Francesco, ma vorrebbe ridurla a una regola che riportasse ad equilibrio le richieste del santo, considerate estreme e provocatorie.
Certamente e storicamente, la scrittura della regola non è avvenuta nel modo in cui il film la presenta. Certamente i registi hanno voluto dare al movimento francescano una forza utopica che l’azione del santo, dai documenti a noi giunti, assolutamente non possiede.
Ma tutto ciò non fa altro che sottolineare il vero tema del film che è la presentazione di una fede disarmata in Cristo, come possibilità di totale realizzazione della propria umanità, dei desideri profondi del cuore, contro una fede che è generosità attivista, azione di potere, imposizione di regole morali. L’orgoglio e l’egemonia sono i due peccati che stanno alla base dell’azione di Elia. Ma in particolare egli è mosso dalla sua insicurezza esistenziale che per essere vinta ha bisogno di nutrirsi dell’ efficienza del proprio operato, delle proprie attività e di un riconoscimento di ruolo, un riconoscimento organizzativo.
Elia stesso sa di essere così scaltro ( la volpe del film) da ingannare soprattutto se stesso e il suo vero grido del cuore. Per questo è infelice.