Sully, il film di C. Eastwood con Tom Hanks

Giugno 13, 2017
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AIC consiglia la visione del film “Sully” (regia C. Eastwood, 2016, Warner Bros). Un esperto pilota, che guida un aereo in avaria decollato da New York, salva 155 persone con un ammaraggio di fortuna nel fiume Hudson. Ma viene messo sotto inchiesta.
Ennesimo personaggio tutto d’un pezzo della galleria di Clint Eastwood e al tempo stesso di Tom Hanks (dopo l’avvocato di Il ponte delle spie), il pilota dell’aviazione civile Chesley Sullenberger detto “Sully” è preso non dalla storia ma dalla cronaca recente. Il caso qui rievocato – clamoroso negli Usa – avvenne il 15 gennaio 2009, nemmeno dieci anni fa. Un miracolo, un salvataggio clamoroso: dopo il decollo dall’aeroporto Fiorello La Guardia di New York, l’aereo venne attaccato da uno stormo di uccelli che mandarono in avaria entrambi i motori. In pochi secondi il comandante dell’aereo dovette decidere tra varie opzioni: tornare al La Guardia? Tentare un atterraggio in un altro aeroporto vicino (c’erano un paio di possibilità)? Scelse la terza, la più incredibile: tentare l’ammaraggio nel fiume Hudson (con le sue acque gelide, in pieno inverno). Ce la fece, e non morì nessuno. Sully divenne per tutta l’America un eroe. Ma quello che ha reso il caso e il personaggio interessanti per Eastwood è che il capitano fu messo sotto accusa dalla Commissione d’inchiesta del National Transportation Safety Board, che ipotizzava una scelta sbagliata. Doveva atterrare in un altro aeroporto: secondo i dati un motore funzionava ancora, quindi aveva messo a repentaglio inutilmente la vita dei passeggeri. Un errore umano, che simulazioni al computer avrebbero smascherato ulteriormente.

Il film inizia quando il fatto è già avvenuto: il pilota alterna l’imbarazzo per chi lo tratta da eroe, ovvero media (pronti però anche a fare insinuazioni malevole) e gente comune, e timori per un’inchiesta che suona paradossale e che mette in dubbio quanto fatto insieme al suo “secondo”, il fidato primo ufficiale Jeffrey B. Skiles (interpretato da Aaron Eckart). Solo dopo mezz’ora dall’inizio, il racconto fa un passo indietro e ci viene mostrato l’incidente: l’esperto pilota, con un passato nell’esercito, deve decidere in pochi secondi (poco più di 200) che segneranno la sua carriera fino a quel momento gloriosa. Dopo aver chiesto aiuto alla torre di controllo decide cosa fare e lo comunica con un secco «andiamo nell’Hudson». La manovra riesce, ma per Sully non c’è tregua alla tensione finché non viene contato l’ultimo superstite messo in salvo.

Eastwood, sempre più asciutto nel suo fare cinema, prosciuga le emozioni da una storia che poteva essere “già vista” – rischiando con un tono quasi dimesso di spiazzare le aspettative del pubblico – puntando sulle scelte di un antieroe (di cui vediamo anche passato, incubi, turbamenti) che fa semplicemente il suo dovere, e che si trova a combattere la surreale e ottusa ostilità di funzionari che ragionano per parametri e simulazioni ed escludendo il fattore umano. Da loro considerato una debolezza: invece, fu quello che salvò i 155 passeggeri. Ma Sully ci tiene a dire che non fu solo merito suo, ma di una squadra. Concetto forte, ed emozionante, di un film che pure punta poco su una facile emozione. Ma che rimane dentro anche di più di altri film più superficiali nella costruzione dell’eroe. Vero è che forse i personaggi di contorno, compresa la moglie affidata alla brava Laura Linney, rimangono troppo sfumati (anche alcuni superstiti sembrano prendere spazio, ma rimangono figure poco definite); tranne la “spalla” Aaron Eckart, che disegna insieme a Sully/Tom Hanks una coppia di colleghi e “quasi amici” (c’è una certa riservatezza tra loro che conquista) molto bella, da ricordare. «L’abbiamo fatto insieme» si dicono con trattenuta commozione; ed è la frase, riferita anche a tutta la squadra “allargata” di questo salvataggio che dà il senso del film, dedicato in fondo a quella parte migliore di New York (che di fronte a un aereo che precipita nel fiume stava rivivendo l’incubo dell’11 settembre) che si prodigò nell’operazione.
Curiosa la lettura che si è fatta di Sully con l’uscita del film, come se fosse un modello di eroe “trumpiano”, insofferente alle regole di un sistema rigido. Quando avvenne l’incidente si stava per insediare un altro presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Figura opposta, ma in fondo anche lui portatore di una novità “rivoluzionaria”. E pronto a congratularsi con un uomo di grande generosità e coraggio, qualità che potevano farlo sembrare “obamaniano”. Letture parziali e distorte: Chesley Sullenberger, nella realtà e nella versione di Clint Eastwood (peraltro sostenitore di Trump) è semplicemente un uomo che fa il suo dovere senza enfasi. La persona giusta al momento giusto come sottolinea enfatica una giornalista. E così integro e semplice da provare imbarazzo nel sentirselo dire.

Sui titoli di coda, si vede il vero Sully con il “suo” equipaggio e i superstiti di quel volo. A loro dice una cosa semplice, come nello stile dell’uomo: rimarrete per sempre nel mio cuore e nella mia mente.

(Antonio Autieri, Sentieri del cinema)


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