Centro Culturale, perché?
don Piero Re, parroco, 1982
“Non vi sgomentate per paura di loro, non vi turbate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1 Pietro 3,14).
“Fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri (Filippesi 4, 8).
“Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1 Tessalonicesi 5, 19).
Quando nel 1972 si decise di erigere in parrocchia un Centro Culturale, fu proprio a queste espressioni di Pietro e Paolo che pensai. Chi rilegge lo Statuto che si stese, riconoscerà che lo scopo e le modalità che ci proponevamo altro non erano che un tentativo – modesto, ma concreto – di tradurre anche tra noi le preoccupazioni pastorali dei primi apostoli.
Quali le premesse inequivocabili, chiarite in non pochi incontri con quanti furono disposti a collaborare?
1. Cristo è l’unico Salvatore dell’uomo e centro del cosmo e della storia (l’inizio della “Redemptor hominis” proclamava la singolarità ed il primato di Cristo). Se l’uomo chiede di conoscere la verità di sé, se desidera il perdono dei propri errori, se gli occorre nuova forza per il suo sviluppo integrale, se intende raggiungere il proprio destino e rinnovare la faccia della terra, non perda tempo. Deve incontrare e seguire Lui, “via, verità e vita” (Gv 14,6).
2. Vivere e far vivere la fede in Cristo – c’è altro da fare nella comunità cristiana? – comporta allora il non ridurre la pratica cristiana ad un buon sentimento, ad una convivenza onesta, ad una difesa dagli attacchi esterni. Comporta il non separare l’essere in grazia di Dio e i momenti liturgici dal resto: nascere e morire, amare e soffrire, lavorare ed educare. La Chiesa non può limitarsi alla celebrazione del culto, non può accontentarsi di offrire al mondo un’assistenza sociale in più, non si deve chiudere nel privato.
3. La Chiesa deve assumersi anche un compito culturale qualificato, se vuole incarnare lo Spirito del Risorto in ogni tempo e luogo. Sottrarsi a tale lavoro sarebbe una sorta di tradimento della sua missione ed una grave inadempienza nei confronti della società stessa.